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Sfiducia al sindaco: basta il voto del 60 per cento dei consiglieri

Sfiducia al sindaco: basta il voto del 60 per cento dei consiglieri

Avanti tutta dell’Ars verso l’approvazione della nuova legge elettorale per gli enti locali, già ribattezzata dagli addetti ai lavori come “legge antigrillini”. Nella seduta di ieri sono stati approvati altri cinque articoli, fra cui quello che abbassa dai due terzi al 60 per cento più uno dei consiglieri il limite per sfiduciare il sindaco. Inizialmente da parte del Pd era stato proposto di abbassare tale limite al 50 per cento più uno dei consiglieri, ma alla fine è prevalsa la mediazione dei Dem che hanno ottenuto che la soglia fosse abbassata al 60 per cento più uno.

Di fatto, ha rilevato il deputato della Destra Nello Musumeci nel rivendicare il ripristino della legge 7 del ’92, da lui stesso definita la miglior legge mai approvata dall’Ars, con questa nuova normativa viene abrogato l’istituto dell’elezione diretta del sindaco da parte del popolo. Non verrà eletto sindaco, infatti, il candidato più votato, ma quello della coalizione che ha ottenuto più voti, anche se l’interessato ha ottenuto meno preferenze di altri candidati. Inoltre, la sua permanenza al vertice dell’amministrazione comunale dipenderà dal parere dei partiti che ve lo hanno insediato e non più dalla volontà popolare che, in caso di sfiducia da parte dei consiglieri, aveva l’ultima parola. Dello stesso tenore gli interventi del Cinquestelle Francesco Cappello e del forzista Giorgio Assenza, che non ha esitato a definire dalla tribuna parlamentare la normativa all’esame dell’Ars “una grande porcata”. Nella seduta odierna restato da esaminare ancora diversi emendamenti, fra cui quello del voto di genere, a cui sono decisamente contrari i Cinquestelle perché, con l’aumento delle preferenze sulle schede si ridà alle segreterie politiche la possibilità di controllare il voto degli elettori.

Contrari a questa legge, oltre ai Cinquestelle e pezzi dell’opposizione, cominciano a pronunciarsi anche diversi sindaci in carica, a partire dal sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, che è anche il presidente di Anci Sicilia, che l’ha definita una legge contro di lui e i Cinquestelle. Per il sindaco di Messina Renato Accorinti e il sindaco di Agrigento Calogero Firetto, entrambi componenti il consiglio regionale di Anci Sicilia, «l’impressione è che si stia modificando l’attuale impianto normativo in materia di elezioni, mozioni di sfiducia e rimozione del sindaco, senza tener conto del quadro finanziario e istituzionale in cui operano gli enti locali siciliani». “Con riferimento alle novità che si vogliono introdurre con il testo di riforma all’esame dell’Ars – hanno rilevato – «sarebbe opportuno riflettere su quanto la tenuta istituzionale del sistema delle autonomie locali, già a rischio per numerosi fattori di ordine finanziario e legislativo, possa essere compromessa da una serie di norme che indeboliscono la figura del sindaco che, pur eletto direttamente dal cittadino, si trova ad essere “condizionato” anche da una serie di elementi contingenti. Ci si chiede in che termini possa giovare ai fini dell’efficienza e dell’efficacia dell’azione amministrativa prevedere la “minaccia” di una mozione di sfiducia al sindaco con un quorum ridotto rispetto a quello attuale».

Critico anche il sindaco di Catania Enzo Bianco, presidente del consiglio nazionale dell’Anci. «Dalla prossima consiliatura – ha rilevato – un solo consigliere comunale potrebbe tenere in ostaggio una città e questo è il sintomo di uno spirito di larghi settori dell’Ars immotivatamente contrario ai sindaci e al loro tentativo di superare le difficoltà facendo funzionare le città attraverso quell’autonomia affidata ai primi cittadini dal corpo elettorale».

Un tentativo di rinviare il disegno di legge in commissione da parte di Santi Formica, è stato bocciato da una maggioranza dimostratasi ieri più che compatta.

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