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Crac Wind Jet, in diciassette a processo

Crac Wind Jet, in diciassette a processo

CATANIA

Un marchio stimato 319 euro nel 2004 che l’anno successivo è venduto per 10 milioni di euro a una società dello stesso gruppo, fatture “gonfiate” per creare fondi, relazioni di revisori dei conti retrodatate. Era la gestione di Wind Jet, secondo la Procura di Catania, che ha portato al rinvio a giudizio di 17 persone nell’inchiesta su una presunta bancarotta fraudolenta della compagnia aerea low cost. La decisione è del Gup di Catania, Gaetana Bernabò Distefano, che ha accolto le richieste dei Pm Alessandro Sorrentino e Alessandra Tasciotti, nei confronti di tutti gli indagati dell’operazione “Icaro” della guardia di finanza, che aveva portato agli arresti domiciliari nel gennaio del 2016, poi revocati a giugno dello stesso anno, l’allora presidente della compagnia aerea, Antonino Pulvirenti, ex patron del Calcio Catania. La prima udienza del processo è stata fissata per il prossimo 3 ottobre.

Wind Jet, che nel 2009 era la prima compagnia low cost in Italia, con tre milioni di passeggeri, in realtà, sostiene la Procura di Catania, non poteva volare da anni perché, spiegano i Pm, «nel 2005 il suo bilancio aveva un passivo di 600 mila euro che tecnicamente non le permetteva di operare». Poi, con una serie di «operazioni di maquillage di bilancio, con una bancarotta che si è dipanata negli anni», grazie anche «a controllori che non hanno controllato», si è tenuta la compagnia aperta. Tra gli interventi di «maquillage contabile» la Procura contesta la vendita alla Meridi, società del gruppo Pulvirenti, del marchio di Wind Jet per 10 milioni di euro: una supervalutazione visto che nel 2004 in bilancio era stimato 319 euro. Poi ricomprato per 2,4 milioni.

Pulvirenti e Rantuccio, tramite i loro legali, hanno sempre negato «condotte distrattive del bilancio». La pressione dei debiti è emersa con forza nell’agosto del 2012, sette mesi dopo lo stop ad un’accordo di vendita ad Alitalia. Gli aerei a terra, a fronte di 20 milioni di euro incassati con biglietti già emessi, e 500 dipendenti a casa. Un fallimento evitato con l’accesso, nel maggio del 2013, a un concordato preventivo per fare fronte a un passivo di 238 milioni di euro e a un debito con l’Erario di 43 milioni.

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