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I terreni del parco dei Nebrodi e sulle Madonie gestiti dalla mafia, undici arresti: nomi

«Terre emerse» dai meandri oscuri degli affari di Cosa nostra, con la complicità di colletti bianchi. E’ stata battezzata così l’operazione della Guardia di finanza di Caltanissetta e del Servizio centrale investigazioni sulla criminalità organizzata.

Dodici le misure cautelari eseguite a carico di coloro che gestivano illecitamente terreni demaniali e contributi agricoli comunitari. Arrestati 11 esponenti legati a Cosa nostra e interdetto un notaio compiacente. Sequestrati beni per 6 milioni e mezzo di euro. Il provvedimento richiesto dalla Direzione distrettuale antimafia nissena ed emesso dal gip, ha fatto scattare 6 ordinanze di custodia cautelare in carcere, 5 arresti domiciliari e una misura di interdizione dall’esercizio dell’attività professionale.

L’indagine, che vede coinvolti allo stato attuale 23 indagati, trae origina da altra attività investigativa - l’operazione «Nibelunghi» condotta sempre dai finanzieri del Gico di Caltanissetta tra il maggio 2017 e il gennaio 2018 - e ha disvelato un sistema di gestione di terreni e contributi agricoli da parte di Cosa nostra nella zona delle Madonie e dei Nebrodi. Metodi mafiosi utilizzati dalla famiglia dei Di Dio, originari di Capizzi, nel Messinese, ma stanziatisi nella provincia di Enna. Nei loro confronti (tutti destinatari di ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere) è stato contestato il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa con riferimento ai rapporti con numerosi esponenti mafiosi, tra cui quelli con i fratelli Virga, inseriti nel mandamento di San Mauro Castelverde.

I Di Dio si sono dimostrati particolarmente attivi nel settore delle agromafie, agevolando la mafia, in modo tale, sottolineano gli inquirenti, da determinarne un significativo incremento del potere di infiltrazione in attività economiche collegate allo sfruttamento di vaste aree agricole collocate nei territori del Parco delle Madonie, di Capizzi, e della provincia di Enna, per l’ottenimento di contributi comunitari i quali venivano poi, in parte, versati ad elementi di vertice del gruppo mafioso, fornendo in tal modo un indispensabile apporto, anche economico, al mantenimento ed al rafforzamento delle cosche.

Gli indagati utilizzavano aziende agricole intestate a loro o a loro stretti congiunti al fine di concludere contratti fittizi di compravendita o di locazione di terreni, in realtà, direttamente riconducibili a soggetti mafiosi, consentendo mediante questo meccanismo di interposizione fittizia, di dissimulare l’effettiva disponibilità dei cespiti in capo ai coindagati al fine di sottrarli alla possibile emissione di provvedimenti di sequestro o a misure di prevenzione patrimoniali.

Le persone sottoposte a misure coercitive, indagate a vario titolo, per i reati di concorso esterno in associazione mafiosa, intestazione fittizia di beni ai sensi dell’art 512 bis c.p. aggravata dall’utilizzo del metodo mafioso e truffa per l'erogazione di pubblici contributi, sono:

- custodia cautelare in carcere: Antonio Di Dio (del 1987),  Domenico Di Dio (1959), Giovanni Giacomo Di Dio (1994), Giacomo Di Dio (1984), Giuseppe Sivillo Fascetto (1978), Caterina Primo (cl. 1958);

- arresti domiciliari per Salvatore Dongarrà (1962), Carmela Salermo (1971); Rodolfo Virga (1961), Ettore Virga (1993), Domenico Virga (1963).

“Ancora conferme sul business milionario rinveniente dai Fondi Europei in mano alle famiglie mafiose. Questa operazione della Procura Distrettuale Antimafia di Caltanissetta e della Guardia di Finanza ha dimostrato ancora una volta l’importanza del tema”, lo afferma Giuseppe Antoci ex presidente del Parco dei Nebrodi e presidente onorario della Fondazione nazionale Caponnetto.

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