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Diagnosi mediche sui capolavori d'arte, a Palermo la storia del dottor Raffa ai tempi del coronavirus

Un ospedale che ha dato molto, diciamo anche troppo alla collettività, per l’alto numero di personale medico e para medicocontagiato dal Coronavirus.  Ma a noi piace pensare che l’Arnas Civico di Palermo sia stato scelto come luogo simbolico per le prime somministrazioni di vaccino in Sicilia anche per una storia di grande umanità e insieme di amore per l’arte e per la sua funzione consolatoria, che sempre ha avuto nella storia dell’umanità, specialmente durante le pandemie.

Cominciamo dalla fine. Un congiunto di un paziente guarito da Covid-19 scrive all’ospedale: “La presente email vuole essere un segno di ringraziamento, gratitudine e plauso per l’estrema professionalità dimostrata nel salvare e curare il nostro familiare P. P., positivo Covid, ricoverato la sera del 30 ottobre con polmonite bilaterale, in condizioni critiche, dopo un graduale aggravamento domiciliare e dimesso il 14 novembre. Vogliamo in primo luogo ringraziare i medici, tra cui ricordiamo il Dr. Raffa (…)”.

Il dottor Alessandro Raffa, specialista in Medicina Interna e Medicina d’Urgenza, perfezionato in Reumatologia, è il medico che tra un turno e l’altro, nell’inverno scorso, in piena emergenza covid, aveva trovato il tempo per “visitare” anche i pazienti “speciali” che chi scrive gli aveva sottoposto per un’originale ricerca pubblicata sulla rivista “Finestre sull’arte”, poi ripresa sul portale “Cultura è salute” dell’Associazione “Club Medici”. Lo strabismo dell’“Annunciata” di Antonello da Messina o il piede da primate (!) della “Venere” di Botticelli sono state solo alcune delle sue diagnosi mediche messe al servizio di una lettura critica dell’opera d’arte da cui è scaturita una sua nuova “epifania”, la rivelazione di un significato “altro”, in grado di offrire esempi di come i tradizionali paradigmi di bellezza potessero essere letti diversamente. Recuperando anche, al contempo,  quella funzione catartica dell’arte di cui dicevamo. Per la gente comune, per gli appassionati d’arte, ma anche per i medici stessi. “L’arte – ci ha detto Raffa – può essere di grande aiuto anche in esperienze destabilizzanti come il burnout lavorativo, in quanto in grado di rinforzare la capacità di fronteggiare le avversità, senza perdersi d’animo, attraverso la riduzione dei livelli di stress e conferendo benessere psicofisico”.

E prima che con la medicina il suo incontro è stato proprio con l’arte. Una storia che ha del romanzesco. Era ancora un adolescente quando fu inviato dai genitori a Parigi per apprendere la lingua francese.  Erano gli anni ’80. Ospitato presso l’atelier dell’artista italo-americano, Mario Cassisa, trasferitosi in quel periodo dalla California a Parigi, per mantenersi aveva iniziato a supportarlo nella vendita di opere d’arte presso la nota case d’aste ‘HôtelDrouot’. La passione per l’arte lo condusse poco dopo a studiare il mondo arabo-normanno della sua città, Palermo. Ne sortì pure una pubblicazione. Oggi Raffa è anche un moderno mecenate e il suo studio, a qualche isolato dal Teatro Politeama Garibaldi, è una wunderkammer del XXI secolo, in cui meravigliarsi di fronte agli oggetti più “rari”, provenienti dai paesi esotici che ha visitato.

E’ qui che trascorre molte ore da quando ha dovuto momentaneamente dismettere il camice per indossare le vesti di un paziente covid, sconfiggendo la malattia, lui, uno degli angeli impegnati da mesi in prima linea nell’emergenza sanitaria.

Riceviamo e pubblichiamo da Silvia Mazza, storica dell’arte e giornalista

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