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"Cosa Nostra? È in crisi da tempo". Parola al prof. John Dickie

Docente allo University College London e grande esperto di mafia e crimine organizzato. «Messina Denaro è solo uno dei sintomi, avanti così perché c’è ancora molto lavoro da fare»

Professor John Dickie, da oggi in poi allora tutti i mafiosi siciliani acquisteranno come auto una Giulietta nera per viaggiare...

«Speriamo di ridurli tutti al motorino sfasciato al più presto possibile. Certo non è una sorpresa scoprire che Messina Denaro aveva molti soldi a disposizione. Ma una presenza apparentemente così vistosa nel suo territorio sicuramente desta preoccupazione. Omertà diffusa? O solo i vantaggi della tattica, da parte del boss, di adottare un’identità falsa in modo da poter nascondersi in piena vista? Vediamo cosa scopriranno gli investigatori».

Sono passati parecchi giorni dalla cattura del boss Messina Denaro, quali sono gli elementi da considerare che l’hanno colpita di più?

«La vicenda è in conformità con quanto già sapevamo sui latitanti di mafia. Rimangono sempre sul loro territorio, dove comandano e hanno sostenitori».

L’ha sorpresa il comportamento adottato di Messina Denaro? C’è un preciso “linguaggio” da decifrare quando si è di fronte ad eventi del genere...

«Al momento dell’arresto non aveva altre opzioni che arrendersi. I Carabinieri ormai hanno tantissima esperienza nella ricerca dei latitanti. I giorni in cui i processi di mafia si facevano a gabbie vuote sono passati».

Come è stata percepita secondo lei nel mondo la cattura, e come in Gran Bretagna dai giornali e dalla gente?

«L’arresto ha offerto uno spunto per parlare di Cosa Nostra, generalmente assente dai media, in Gran Bretagna almeno, dal momento dell’arresto di Provenzano. Inevitabilmente abbiamo visto dei luoghi comuni in circolazione. Per esempio in molti hanno etichettato Messina Denaro come il capo di tutti i capi. E in genere non ci si rende conto dei progressi fatti durante la sua lunga latitanza nella lotta a Cosa Nostra. Ma la stessa cosa si può dire anche in Italia».

Adesso secondo lei che scenario si apre in Cosa nostra?

«Cosa Nostra come struttura territoriale, la struttura di famiglie e mandamenti che garantiva il controllo del territorio, è in crisi da tempo. Basti pensare al fatto che la Commissione provinciale di Cosa Nostra non riesce a riunirsi dal 1993, dal momento dell’arresto di Totò Riina cioè. I capi palermitani ci hanno provato ben quattro volte a ricostituirla, ma sono stati osservati, filmati, e arrestati. Tutti i capi storici sono dietro le sbarre. Il ponte attraverso l’Atlantico e verso la Cosa Nostra americana è stato interrotto dalla collaborazione tra le autorità italiane e americane. Cosa Nostra è stata tagliata fuori dai grandi canali internazionali del narcotraffico. Ci sono stati migliaia di arresti. I beni confiscati sono una quantità faraonica. Insomma, l’arresto di Messina Denaro è solo uno dei sintomi della crisi in cui Cosa Nostra si trova. Avanti così, perché c’è ancora molto lavoro da fare».

Nella conferenza stampa il procuratore di Palermo Maurizio de Lucia ha sottolineato più volte gli aiuti ricevuti dalla borghesia siciliana, non soltanto durante la latitanza ma anche per i suoi affari, è un concetto su cui lei ha già scritto molto, lo possiamo approfondire?
«Il procuratore ha fatto riferimento alla borghesia mafiosa, e non alla borghesia siciliana. C’è una bella differenza!».

Trent’anni sono troppi, lei pensa a coperture istituzionali deviate e connivenze?

«Certo che sono troppi. Una latitanza così lunga è una bella pubblicità per il potere della mafia. Ma proviamo ad analizzare più pazientemente il discorso delle connivenze. Messina Denaro faceva rete, faceva affari, con esponenti dell’élite. Questo è pacifico. Sennò, che razza di mafioso era? Il caso del senatore d’Alì è l’esempio meglio noto. Ma per la specifica questione della latitanza nutro qualche dubbio sull’assistenza che gli avrebbero potuto offrire i d’Alì della situazione. Non siamo più nell’Ottocento quando il boss latitante si nascondeva nel latifondo del barone dove polizia e carabinieri non osavano mettere piede. Oggi la ricerca dei latitanti è completamente sotto il controllo della magistratura, e dei reparti specializzati della forze dell’ordine. La politica ha pochissima influenza. Il pericolo dunque sono elementi corrotti all’interno delle forze dell’ordine. Poi bisogna considerare che la Cosa Nostra di oggi non è quella di trent’anni fa quando è cominciata la latitanza di Messina Denaro. Il controllo totale del territorio non c’è più. L’organizzazione criminale è stata molto indebolita dalle collaborazioni, e penetrata dalle indagini. In questa situazione Messina Denaro, a mio avviso, si sarebbe fidato solo di un cerchio di famigliari e collaboratori molto stretti».

Come possiamo definire la “mitizzazione” del personaggio, secondo lei non contribuisce ad una distorsione del reale “potere”?

«Molti boss hanno il mito di se stessi. Si vedono tutti nei panni di Al Pacino o Marlon Brando. E poi questi modelli cinematografici aiutano anche a trasmettere potere e carisma. Da questo punto di vista Matteo Messina Denaro si è rivelato un luogo comune ambulante».

Un’ultima cosa, andiamo oltre le notizie “nude e crude” e parliamo delle reazioni sul web, cosa ne pensa?

«Sono partite subito le dietrologie e non solo sul web. Messina Denaro che si sarebbe costituito su ordine dei poteri forti come parte di un patto scellerato con lo Stato, e via di seguito. Sono tutti teoremi senza prove e senza la minima possibilità di essere falsificati. Mi chiedo perché gli intervistatori in queste situazioni non chiedono agli intervistati di fornire le prove».

 

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