Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

Il boss Messina Denaro ai giudici: "Io criminale onesto. La mafia? Io l'ho conosciuta dia giornali"

Lo ha detto senza esitazioni il boss Matteo Messina Denaro interrogato dopo l’arresto dal procuratore di Palermo Maurizio De Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido

«Una cosa fatemela dire. Forse è la cosa a cui tengo di più. Io non sono un santo...ma con l'omicidio del bambino non c'entro": lo dice senza esitazioni il boss Matteo Messina Denaro interrogato dopo l’arresto dal procuratore di Palermo Maurizio De Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido, parlando dell’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito rapito e sciolto nell’acido. Il verbale è stato depositato ieri.

«Lei mi insegna che un sequestro di persona ha una sua finalità, che esclude sempre l’uccisione dell’ostaggio, perché un sequestro a cosa serve? Ad uno scambio: tu mi dai questo ed io do l’ostaggio; il sequestro non è mai finalizzato all’uccisione - spiega il boss -. Sequestrano questo bambino - quindi io sono come mandante, mandante del sequestro - sequestrano questo bambino, lui (Giovanni Brusca ndr) non dice che c'ero io». «Ad un tratto lui resta solo in tutta questa situazione, passa del tempo, un anno/due anni, dice si trova davanti a televisione ed il telegiornale dà la notizia di... che lui era stato condannato all’ergastolo per l’uccisione dell’esattore Ignazio Salvo, ci siamo?» , spiega. A quel punto, secondo la narrazione di Messina Denaro, Brusca, fuori di sé per la condanna all’ergastolo per l’omicidio Salvo, decreta la morte del bambino. "Ma... allora, a tutta coscienza - dice Messina Denaro - , se io devo andare in quel processo, che è ormai di Cassazione, devo andare per sequestro di persona. Quindi a me perché mi mettete - non voi, il sistema - come mandante per l’omicidio, quando lui dice che poi non ci siamo visti più?" "Decise tutto lui, per l’ira dell’ergastolo che prese. - conclude - Ed io mi sento appioppare un omicidio, invece secondo me mi devono appioppare il sequestro di persona; non lo faccio per una questione di 30 anni o ergastolo, per una questione di principio. E poi a tutti... cioè loro lo hanno ammazzato, lo hanno sciolto nell’acido e alla fine quello a pagare sono io? Cioè, ma ingiustizie quante ne devo subire? «. I pm tornano a chiedergli se c'entri nella vicenda e lui ribadisce di no.

"Non uccisi il pentito, io criminale onesto"

C'è questo e tanto altro nei verbali dell'interrogatorio di Matteo Messina Denaro reso immediatamente dopo la cattura. Poi snocciola una serie di dati identificativi di Geraci: «Io ho sempre saputo dov'era, a Bologna, via Enrico Panzacchi 14 e aveva una gioielleria, sempre a Bologna in via XX Settembre, nel centro storico. Via Enrico Panzacchi è, lo sapete meglio di me, un grande ring che ogni 100-150 metri cambia nome, una zona residenziale. E’ morto, io l’ho saputo ora, con un tumore: io non l’ho ucciso e nemmeno l’ho fatto uccidere. Dice, 'cosa vuoi dire?'. Che non mi interessavano queste cose, io in questi 30 anni a lui dentro di me l’ho perdonato, io rispettavo l’amicizia da quando siamo nati. Secondo lei, se a me fosse importato ucciderlo o altre cose, la sua famiglia è a Castelvetrano (Trapani, ndr). Ma non gli è successo mai niente perchè io dentro la mia testa ho un mio codice comportamentale». E qui la chiosa finale di un ragionamento svolto nel corso di un interrogatorio che è anche un confronto dialettico e intellettuale tra l’eccellenza criminale e l’eccellenza inquirente della magistratura: «Non è allora per rispondere in un altro modo a quello che ha detto lei all’inizio, alla domanda se io faccio parte... Io non faccio parte di niente, io sono me stesso ma se devo essere un criminale, mi definisco un criminale onesto». Interviene il pm Guido, coordinatore delle ricerche e della cattura del boss: «Un criminale?». E Messina Denaro ribadisce: «Onesto». De Lucia: «Questo è un ossimoro, lei sa cosa significa naturalmente...». E il capomafia, manifestando il proprio narcisismo e ponendo l’accento sulla sua istruzione, che ne fa una persona diversa dalla media degli appartenenti a Cosa nostra, un latitante che si vanta di avere occupato il tempo leggendo tanti libri: «Sì, l’ossimoro, la gelida fiamma. Facevano sempre questo esempio, a scuola».

"Non sono un mafioso e non mi pentirò mai"

«Non sono un mafioso» e «non mi pentirò mai». E ancora: «Non voglio fare il superuomo e nemmeno l’arrogante, voi mi avete preso per la mia malattia». Matteo Messina Denaro, nel primo interrogatorio reso ai magistrati di Palermo il 13 febbraio, si dimostra poco disponibile a concessioni. «Ora che ho la malattia - spiegava il cambiamento di vita e di stile della latitanza che lo hanno esposto maggiormente - non posso stare più fuori e debbo ritornare qua. Allora mi metto a fare una vita da albero piantato in mezzo alla foresta». A Campobello di Mazara «mi sono creato un’altra identità: Francesco» e pochi conoscevano la sua vera identità: «Giocavo a poker, mangiavo al ristorante, andavo a giocare».

"La mafia? L'ho conosciuta dai giornali"

«Io mi sento uomo d’onore ma non come mafioso. Cosa nostra la conosco dai giornali. La mia vita non è stata sedentaria, è stata una vita molto avventurosa, movimentata», ha detto ammettendo la latitanza e di aver comprato una pistola, ma di non averla mai usata e di non aver fatto omicidi e stragi. «E lei non ha mai avuto a che fare Cosa nostra?», gli chiedono i magistrati. «Non lo so magari ci facevo affari e non sapevo che era Cosa nostra», risponde. «Quali reati ha commesso?», lo incalzano. «Non quelli di cui mi accusano: stragi e omicidi. Non c'entro nella maniera più assoluta. Poi mi possono accusare di qualsiasi cosa, io che ci posso fare».

"Niente droga, ero ricco di famiglia"

"Vivo bene di mio, di famiglia. Mio padre era un mercante d’arte». Il padre del capomafia, Francesco Messina Denaro, padrino di Castelvetrano, è morto da latitante ed è ritenuto uno dei fedelissimi dei corleonesi di Totò Riina. "Io sono appassionato di storia antica da Roma a salire - racconta il capomafia ai magistrati - poi mio padre era mercante d’arte e dove sto io c'è Selinunte (sito archeologico del trapanese ndr). Mio padre non è che ci andava a scavare però a Selinunte a quell'epoca c'erano mille persone e scavavano tutte. In genere il 100% delle opere le comprava mio padre che poi venivano vendute in Svizzera e poi arrivavano dalla Svizzera dovunque: in Arabia, negli Emirati e noi vedevamo cose che passavano da mio padre nei musei americani».

L'audio contro Falcone

«Io non è che volevo offendere il giudice Falcone, non mi interessa... Il punto qual è? Che io ce l'avevo con quella metodologia di commemorazione. Allora, se invece del giudice fosse stato Garibaldi, la mia reazione sempre quella sarebbe stata, perché non si possono permettere di bloccare un’autostrada per decine di chilometri: cosi vi fate odiare». Lo dice ai pm nel corso di un interrogatorio Matteo Messina Denaro commentando la chat audio in cui, fermo nel traffico per le commemorazioni della strage di Capaci, imprecava. L’audio era stato inviato a una paziente con cui faceva la chemioterapia durante la latitanza.

"Telecamere? Sapevo anche chi le metteva"

Molte di queste telecamere quando le piazzavano, perchè all’inizio quando iniziarono erano tutte di notte, poi anche di giorno, c'era un segnale: il maresciallo dei Ros (ne dice il cognome, ndr), c'era sempre lui appena si vedeva ... con due, tre fermi in un angolo già stavano mettendo una telecamera, anche se ancora non avevano messo mano». I pm prendono atto della conoscenza, da parte della consorteria mafiosa e della cerchia del latitante, persino dei nomi degli investigatori di punta dei carabinieri del Ros: cosa che dimostra i pericoli corsi da chi ha indagato in prima linea. Cercano così di capire meglio: «Vabbè, ma lei non è che era sempre in giro». Risposta: «No, me lo dicevano». Chi? «Amici miei che non dico». Amici che sapevano chi era Messina Denaro però, insiste l’accusa. Risposta: «Certo, è normale questo, è normale». Insiste il procuratore aggiunto Guido: «Quindi c'era tanta gente che sapeva chi era lei». Messina Denaro: «Ma il punto è che molti ve li siete portati (arrestati, ndr)».

Caricamento commenti

Commenta la notizia