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Tratta di esseri umani dall'Africa all'Italia, blitz a Catania: 25 arresti

La Polizia di Stato di Catania, su delega della procura distrettuale della Repubblica del capoluogo etneo, ha eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal Gip del Tribunale di Catania, a carico di diverse persone di cittadinanza guineana e ivoriana, alcuni dei quali già in carcere, responsabili di tratta di esseri umani. Il provvedimento è stato eseguito dalla Squadra Mobile della Questura di Catania, con la collaborazione dell’omologo Ufficio di Genova, dove due degli indagati, già sottoposti rispettivamente all’obbligo di dimora e di presentazione alla polizia giudiziaria - sono stati tratti in arresto.
Dei 25 destinatari della precedente ordinanza di custodia cautelare eseguita il 3 agosto scorso (convenzionalmente denominata «Landayà bis», di cui 18 ristretti in regime detentivo, sono attivamente ricercate altre 7 persone, che dovrebbero trovarsi all’estero, le cui informazioni sono state condivise a livello europeo.
L’ulteriore provvedimento restrittivo - secondo quanto si apprende - cautelare è il frutto della strutturata attività d’indagine, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catania ed eseguita, anche con l’ausilio di strumenti tecnici, dalla II Sezione Investigativa «Criminalità Straniera e Prostituzione» della locale Squadra Mobile: i destinatari sono indiziati di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, aggravata dall’aver agito in più di dieci persone e dei reati-fine di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina pluriaggravati dall’avere agito in più di tre persone in concorso tra loro, di avere commesso il fatto al fine di trarne profitto anche indiretto e dalla transnazionalità.
Le indagini erano sfociate nell’emissione del decreto di fermo di indiziato di delitto emesso dalla Procura etnea ed eseguito il 19 aprile scorso in diverse parti d’Italia. Dopo le convalide avvenute in diverse città italiane, il Gip adito ex art 27 c.p.p., aveva sollevato conflitto di competenza presso la Corte di Cassazione, la quale nel risolvere il conflitto, ha determinato la competenza dell’Ufficio GIP catanese, il quale all’esito della decisione, ha emesso l’ordinanza con applicazione della misura cautelare del massimo rigore nei confronti di tutti gli indagati, ravvisando la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza nonché tutte le esigenze cautelari.

Come avveniva la tratta di esseri umani

Le indagini, coordinate della procura ed eseguite dalla Squadra Mobile di Catania Sezione Criminalità Straniera e Prostituzione avrebbero permesso di acquisire, allo stato degli atti, elementi che dimostrerebbero come i fermati, per lo più francofoni, della Guinea e Costa d’Avorio, sarebbero in grado di garantire al migrante la realizzazione del progetto migratorio nella sua interezza, dal paese di origine a quello di destinazione, attraverso paesi di mero transito (tra i quali l’Italia) con la pattuizione del pagamento di un prezzo per ogni tappa del viaggio, corrisposto alle diverse persone incaricate di curare la singola tratta, utilizzando allo scopo precipuo del raggiungimento del confine francese treni e macchine (più raramente sentieri di montagna) ed offrendo a tal fine tutti i servizi necessari allo «sconfinamento": dall’organizzazione dello spostamento del migrante dal centro cui veniva affidato in accoglienza dallo Stato italiano - o, comunque, dal luogo dove si trovava- fino al sito dal quale operare il superamento dei confini, la fornitura eventuale di documenti falsi (anche di tipo sanitario quali falsi green pass, falsi esiti del test Covid-19 e patenti di guida), la presa in carico del migrante una volta raggiunto sul luogo in prossimità del confine, l’offerta di ospitalità nelle more, comprensiva di vitto ed alloggio, la reiterazione dei tentativi di sconfinamento, la presa in carico ad opera di altri membri una volta raggiunta la Francia.
Il sodalizio - secondo l’accusa aveva una struttura fluida perché capace di adattarsi ma in ogni caso ben definita quanto ai ruoli: non vi era evidentemente un capo all’apice, ma quattro capi organizzatori ciascuno per ognuno dei gruppi, quattro entità collettive operanti con una organizzata gestione di risorse umane e materiali, stabilmente a disposizione le une delle altre e sinergicamente attive con metodi illeciti, con la finalità della commissione di diversi delitti rientranti in un unico superiore progetto associativo che dall’Italia passava soltanto, in quanto iniziava all’estero e terminava all’estero.
Individuata una struttura complessa e articolata del sodalizio, composto fondamentalmente da tre cellule: una con sede nel piemontese, precisamente a Torino, ed Asti; una con sede in Liguria ma con un associato dimorante ad Asti; una terza con sede a Ventimiglia ed a sua volta suddivisa in due sottogruppi, di cui uno riferibile ad un soggetto allo stato irreperibile, leader del gruppo.

Accanto a detti gruppi sono stati individuati due complici che facevano da «cerniera» in quanto non inquadrabili definitivamente come soggetti alle dipendenze esclusive di alcuno dei vari leader o come in collaborazione con uno solo dei gruppi in particolare, ma stabilmente disponibili ad intervenire nella catena di azioni necessarie a garantire le azioni di sconfinamento dei migranti rivoltisi al sodalizio. Nel corso delle investigazioni emergeva una fibrillazione - scaturita ragionevolmente per contese concernenti il controllo del territorio di riferimento - tra antagonisti di diversa cittadinanza (da una parte cittadini nigeriani, dall’altra i francofoni), dediti al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina via terra, fibrillazione che potrebbe avere originato una violenta aggressione ai danni di uno dei destinatari del decreto di fermo, allo stato irreperibile. Ulteriori evidenze investigative sono emerse dagli accertamenti patrimoniali svolti alle attività tecniche e tradizionali, accertamenti che hanno permesso di accertare un considerevole giro d’affari: sebbene la maggior parte dei movimenti dei flussi di denaro avvenisse in contanti (soprattutto per la clientela agganciata alla spicciolata in prossimità dei confini) ed un’altra parte attraverso sistemi basati sulla mera fiducia, definita dai monitorati con il termine «landaya», l’analisi delle postepay in uso ad alcuni degli indagati ha consentito di attestare che uno dei sodali aveva effettuato l’acquisto on line di titoli di viaggio in un limitato arco temporale per un ammontare di circa 26.000,00 euro.
L’analisi dei flussi di denaro relativi alle carte postepay utilizzate restituiva per ciascuna un saldo pressochè pari a zero: le carte venivano infatti utilizzate quali meri contenitori precari, con transazioni complessivamente ammontanti a 800.000 euro solo considerando le carte postepay intestate a diversi indagati e dovendosi, comunque, tenere in considerazione - secondo gli inquirenti - che spesso nel settore dello smuggling e del trafficking, i flussi di denaro di rilievo avvengono utilizzando soggetti apparentemente non legati agli autori del reato, onde evitare che operazioni di movimentazione di danaro anomale, reiterate e di un certo rilievo, possano esser foriere di attenzione investigativa.

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