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In Sicilia l’acqua è un bene da... sprecare: metà delle risorse si perde per via di condutture fatiscenti

I dati dell’Eurispes e dell’Istat sono impietosi. E le cose vanno male anche per quel che riguarda depurazione e smaltimento

Lo sapevamo già, ma vederlo scritto nero su bianco tra le pagine di un corposo dossier, pubblicato da uno degli enti di ricerca più importanti d’Europa, l’Eurispes, fa ancora più male, come un pugno sullo stomaco: in Sicilia l’acqua c’è, ma più della metà della risorsa a disposizione, sia per uso potabile che irriguo, si perde tra i mille rivoli di una rete idrica colabrodo, almeno stando ai dati dell’Istat che sono aggiornati al 23 maggio di quest’anno.

Quanta, esattamente? Secondo lo studio, dal titolo «Un sistema che fa acqua», a fronte di oltre 677 milioni di metri cubi di H2O erogata dai bacini dell’Isola durante il 2020 – un volume enorme, ma vanno considerate le lunghe permanenze a casa per i lockdown da Covid – ne sono “evaporati” (si fa per dire) quasi 355 milioni, ossia il 52,5% del totale: una quota nettamente superiore alla media nazionale, pari al 42%, che piazza la regione al terzo posto tra i territori spreconi, oltrepassata soltanto da Basilicata (62,1%) e Abruzzo (59,8%).
Cifre che, se possibile, diventano più impietose se confrontate con le asticelle del Nord del Paese, dove la situazione è invece ribaltata, tanto che le perdite idriche si attestano in media al 32,5% per il Nord-Ovest e al 38% circa per il Nord Est, mentre la Valle d’Aosta registra l’ammanco più basso d’Italia, pari al 24%, seguita a stretto giro da Lombardia, Trentino Alto-Adige ed Emilia-Romagna. Ma lo spreco è più evidente a livello locale. Basti pensare a Ragusa e Siracusa, che rientrano nella top ten tricolore dei comuni con maggior deficit idrico, rilevando perdite, rispettivamente, del 63% e del 60%, ossia valori doppi rispetto alla media dei capoluoghi di provincia italiani e lontani anni luce dalla città più virtuosa, Milano, dove il gap si attesta sotto il 18%.

Più contenuto, si fa per dire, lo spreco d’acqua fotografato nelle città metropolitane di Catania e Palermo, la prima a quota 55%, la seconda, invece, al 48% di risorsa andata in fumo sugli oltre 137 milioni di metri cubi immessi in rete, per un ammanco di 65,5 milioni di metri cubi l’anno. Un vero peccato, soprattutto se si pensa che l’Isola riceve una media annuale di precipitazioni pari a 18,8 miliardi di metri cubi, ossia più del 6% di quanto cade in tutta Italia. Insomma, l’acqua c’è, ma non sappiamo ancora contenerla e utilizzarla al meglio, anche se, va ricordato che sono stati aperti alcuni cantieri nei bacini siciliani, finalizzati a ripulire il fondo degli invasi dai detriti, ma anche nelle condotte gestite dai Consorzi di bonifica.
Le criticità, però, restano tutte, e «in assenza di investimenti che possano favorire la captazione, l’immagazzinamento, il trasporto, la distribuzione, la depurazione e il riuso delle acque», evidenzia il dossier, «si rischia di cronicizzare il problema rendendo la mancanza d’acqua una questione strutturale, come, tra l’altro, sta avvenendo in altre aree del pianeta. Questo rischio è già evidente al Sud, dove la fatiscenza o la totale assenza delle reti - si pensi ad esempio ai livelli di dispersione idrica nel Mezzogiorno o alla mancanza di allacci al sistema fognario in parte della Sicilia - sommate all’apparente incapacità degli Enti gestori di effettuare gli investimenti necessari, creano condizioni di stress idrico, spesso aggravate dalla mancanza di disponibilità della risorsa». E a proposito di depurazione e smaltimento delle acque reflue, ricordando che «il servizio idrico integrato non si esaurisce con la distribuzione dell’acqua alle utenze finali ma deve necessariamente prendere in considerazione lo stato delle reti fognarie», l’Eurispes sottolinea che, se tutte le regioni hanno livelli di copertura degli impianti di scarico che oscillano tra il 90% e l’85%, «le uniche due eccezioni negative sono rappresentate dal Veneto e dalla Sicilia (77,2%).
Quest’ultima risulta essere la regione dove la quota di popolazione allacciata al servizio pubblico di fognatura è minima. Il caso forse più grave è quello della provincia di Catania, dove solamente il 35,9% della popolazione ha accesso al sistema».

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