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Proteggevano Messina Denaro, arrestati 3 insospettabili. In sanità una corsia preferenziale per il boss latitante

Tra questi un architetto ed un radiologo. L’inchiesta è stata coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia: "Ancora oggi totale omertà"

Nuovo colpo alla rete che ha protetto Matteo Messina Denaro durante la latitanza. I carabinieri del Ros hanno arrestato per associazione mafiosa l'architetto Massimo Gentile e il tecnico radiologo dell’ospedale di Mazzara del Vallo Cosimo Leone e per concorso esterno in associazione mafiosa Leonardo Gulotta. L’inchiesta è stata coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia, dall’aggiunto Paolo Guido e dai pm Gianluca De Leo e Piero Padova. Sono in corso perquisizioni in Lombardia e nella provincia di Trapani.

Dalla cattura del boss, avvenuta il 16 gennaio del 2023, sono finite in manette 14 persone accusate di aver aiutato il capomafia ricercato. Quattro sono già state condannate.

Esami clinici  in tempi record

Esami effettuati in tempi record, una visita oncologica rapidissima, ricovero e operazione a soli otto giorni dalla diagnosi di cancro al colon ricevuta a novembre del 2020: Matteo Messina Denaro ha potuto godere di una sanità efficientissima. Una solerzia sospetta, quella riservata al boss che all’epoca usava documenti falsi, su cui si concentrano attualmente gli investigatori.
Oggi a finire in manette è stato un tecnico radiologo dell’ospedale di Mazara del Vallo, Cosimo Leone, prima, sospettano gli inquirenti, di una serie di pedine insospettabili nel mondo della sanità che hanno aiutato il boss durante la malattia. Leone, cognato dell’architetto Massimo Gentile, anche lui arrestato oggi, si sarebbe occupato di far fare una Tac urgente al capomafia (Tac, come risulta da documenti sanitari, anticipata più volte). Nel giorno dell’esame, inoltre, il tecnico chiese di cambiare turno facendo coincidere la sua presenza in ospedale con gli accertamenti diagnostici a cui il boss doveva sottoporsi.
Secondo gli investigatori, inoltre, Leone avrebbe costantemente informato dello stato del paziente un altro fiancheggiatore, Andrea Bonafede, cugino e omonimo del geometra che ha prestato al boss l’identità per farsi curare. Sono decine i contatti telefonici tra i due nei giorni in cui il capomafia si trovava all’ospedale di Mazara scoperti dai carabinieri. Con un lavoro certosino sui tabulati gli investigatori hanno ricostruito le chiamate e, attraverso le celle, gli spostamenti del tecnico e Bonafede nei giorni caldi della diagnosi e dell’intervento al colon subito da Messina Denaro. Dalle analisi risulta evidente che Bonafede fece avere al boss un cellulare mentre questi era ricoverato. Siamo in pieno Covid e il tecnico era fondamentale, visto il divieto di accesso in ospedale, come tramite con il capomafia. Il 14 novembre, dunque, alle 13.30 Bonafede partì da Campobello e arrivò dopo circa 15 minuti a Mazara del Vallo nei pressi dell’Ospedale. Alle 13.48 avvisò Leone, presente quella mattina in ospedale e gli consegnò il nuovo telefonino. Dopo 15 minuti (intorno alle ore 14.00), il tecnico diede il cellulare al latitante che immediatamente chiamò Bonafede sul suo vecchio numero. La missione venne quindi portata a termine grazie a Leone, abilitato a muoversi nei reparti, unico interlocutore che Bonafede poteva contattare in quel momento. L’apparecchio, ulteriore prova che a usarlo fosse Messina Denaro e che qualcuno interno all’ospedale glielo avesse consegnato clandestinamente, restò in ospedale per tutti i 4 giorni di degenza del boss.

Il Pm Maurizio de Lucia: "Ancora oggi totale omertà"

Ancora oggi, a distanza dì pochi mesi dalla morte di Matteo Messina Denaro, una totale omertà "avvolge come una nebbia fittissima tutto ciò che è esistito intorno alla sua figura, ai suoi contatti, ai suoi spostamenti ed alle relazioni che ha intrecciato nei lunghi anni di clandestinità». E’ la dura accusa lanciata dalla Procura di Palermo guidata da Maurizio de Lucia che indaga sulla rete di fiancheggiatori del boss.
«Si tratta di un’omertà trasversale - spiegano i magistrati - che di fatto, allo stato, ha precluso agli inquirenti di avere spontanee notizie anche all’apparenza insignificanti: nessun medico, operatore sanitario o anche semplice impiegato di segreteria che abbia avuto contatti con Messina Denaro Matteo (alias Bonafede Andrea), ha ritenuto di proporsi volontariamente per riferire ai magistrati o alla polizia giudiziaria di essersi occupato, a qualsiasi titolo, del latitante o comunque rivelare quanto appreso direttamente, o anche solo indirettamente, sulle cure prestate all’importante capo mafia».
I pm parlano dell’esistenza «di una vasta, trasversale e insidiosissima rete di sostegno, ancora in minima parte svelata, che ha consapevolmente supportato le funzioni di comando del Messina Denaro, consentendogli una latitanza sul territorio, con documenti, auto e moto, esami clinici e contatti nel mondo sanitario».

 

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