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Terremoto nella mafia barcellonese: il boss Di Salvo si dissocia da Cosa nostra

Il procuratore aggiunto Vito Di Giorgio e Salvatore “Sem” Di Salvo

Per capire il contesto è come se Totò Riina, in vita, si fosse dissociato dai Corleonesi. Una clamorosa svolta negli equilibri mafiosi.
Per Cosa nostra barcellonese però è accaduto per davvero. Il boss Salvatore “Sem” Di Salvo, l’uomo di rispetto che ha retto la “famiglia” del Longano e si è seduto per anni al vertice del gruppo di comando dell’intera mafia tirrenica della provincia di Messina, l’uomo che ha deciso omicidi e appalti, punizioni e alleanze, campagne elettorali e accordi segreti, latitanze e traffici, in un verbale di appena tre pagine ha ufficializzato la sua “dissociazione” da Cosa nostra barcellonese ed ha ammesso i reati che nel tempo gli sono stati contestati.
Ed è una decisione veramente clamorosa la sua, che probabilmente avrà un effetto a catena nella geografia mafiosa della fascia tirrenica del Messinese. Una decisione maturata nel silenzio del suo “41 bis” nel carcere di Sassari, a 59 anni, dove è detenuto da tempo. Forse tra stanchezza della sua condizione d’isolamento e solitudine.

È lui che attraverso il suo difensore, l’avvocato Tino Celi, qualche settimana addietro ha chiesto di parlare solo con il procuratore aggiunto di Messina Vito Di Giorgio, il magistrato che a Messina ormai da molti anni si occupa dei pesi e contrappesi delle organizzazioni mafiose dell’intera provincia. E il magistrato qualche giorno dopo è andato a trovarlo a Sassari, insieme al collega della Dda Fabrizio Monaco e ad un paio di investigatori dei carabinieri del Ros.
E lì, nel solito tavolo in una saletta riservata con il video registratore in funzione, e con accanto il suo avvocato Tino Celi, che lo assiste insieme al collega Tommaso Calderone, Di Salvo ha parlato, dicendo cose che probabilmente nessuno si aspettava.
Quello che ha dichiarato è tra le carte dell’ultima operazione antimafia gestita a Messina dall’aggiunto Di Giorgio e dai sostituti della Dda Fabrizio Monaco e Francesco Massara, che dopo le dichiarazioni del pentito barcellonese Salvatore Micale “Calcaterra” ha individuato nuovi mandanti ed esecutori di una sequenza di omicidi decisi dalla cupola mafiosa barcellonese a cavallo tra gli anni 90 e 2000.

La dissociazione: «... ammetto i reati che mi vengono contestati nell’ambito del procedimento penale per il quale sono stato, da ultimo, raggiunto da misura custodiale; mi dissocio dal clan di appartenenza, noto come associazione mafiosa dei barcellonesi. Intendevo fare questa dichiarazione esplicita di dissociazione da tempo, e in passato l’ho manifestata in vario modo. Negli atti che mi riguardano, concernenti il reclamo avverso il 41 bis, ho scritto che mi sono dissociato dal clan dei barcellonesi, e ribadisco che ho manifestato più volte questa mia volontà di dissociazione».
Uno sguardo al passato: «Ho fatto parte della famiglia mafiosa dei barcellonesi, ma adesso non sono più partecipe di essa. Ammetto anche i fatti per i quali sono stato giudicato colpevole in via definitiva. L’unico rapporto significativo che ho avuto con altri associati dei barcellonesi è con Carmelo D’Amico. Ci sono dei ruoli che mi sono stati attribuiti da D’Amico Carmelo che, in realtà, non mi appartengono».
La versione dei pentiti: «... rispetto alle dichiarazioni di altri collaboratori di giustizia, ammetto i reati che mi sono stati contestati. Preciso che l’omicidio di Ferro non l’abbiamo commesso né io, né D’Amico Carmelo. Io mi assumo la responsabilità di avere saputo di questo omicidio. L’omicidio è stato commesso da Eugenio e Filippo Barresi; anche il collaboratore di giustizia Nino detto u ssuntu aveva parlato di questo omicidio durante il processo Mare Nostrum. Non sta a me dire perché D’Amico Carmelo si è assunto la responsabilità di questo omicidio».
I rapporti troncati: «... non intendo riferire in ordine alla responsabilità di altri associati per i reati loro contestati. Intendo solo assumermi la mia responsabilità. Sono stanco e voglio prendere le distanze da quel contesto. Sono detenuto dal 2011; da quel momento non ho avuto contatti con altri associati. Li ho avuti solo con la mia famiglia anagrafica. Ho scritto una cartolina di auguri, per Natale, a Carmelo Giambò, mio compare di S. Giovanni. Non aveva nessun altro scopo. Non scrivo neppure a mia suocera, per evitare che le mie lettere possano essere fraintese. Ho avuto in passato rapporti con Siracusa Nunziato, poi divenuto collaboratore di giustizia. Anche gli altri collaboratori di giustizia che mi hanno accusato facevano parte della famiglia mafiosa dei barcellonesi, perché erano vicini a D’Amico Carmelo, ma con me non avevano rapporti. Per quanto riguarda i ruoli che mi vengono attribuiti da D’Amico Carmelo, aggiungo che, per l’omicidio di Ficarra, D’Amico Carmelo mi attribuisce il ruolo di mandante. È vero che D’Amico mise a conoscenza di questo fatto anche me; in questo modo, secondo lui, informò il clan. D’Amico Carmelo non ha ricevuto dal clan alcun compenso, per questo omicidio, che forse ha ricevuto dalla persona alla quale fece questo favore di uccidere Ficarra, come dice lui stesso nelle sue dichiarazioni. Il clan non aveva nessun interesse ad uccidere Ficarra. A mio avviso, Mazzagatti non fa parte dell’associazione mafiosa dei barcellonesi; Mazzagatti era amico di D’Amico, e credo anche compare di S. Giovanni, e cognato di Famà Salvatore».
Sì è fermato qui il boss Di Salvo. Forse, ma è ancora una pagina tutta da scrivere, in futuro avrà altro da dire.

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