Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

A Palermo le nozze del boss nel Pantheon che ospita le spoglie di Falcone. I domenicani: "mafiosi scomunicati, soldi all'antimafia"

Imbarazzo e indignazione a Palermo dopo la notizia che lo scorso 15 aprile il boss mafioso palermitano Tommaso Lo Presti, ha festeggiato le nozze d’argento nel Pantheon dei siciliani illustri, la Chiesa di San Domenico, che accoglie le spoglie di Giovanni Falcone.

Il boss era stato scarcerato da poco, dopo una dozzina di anni di carcere e, con la moglie, anche lei condannata per mafia, aveva deciso di fare festa per il venticinquesimo, prima con una Messa in questo luogo suggestivo e simbolico, luogo di funerali di Stato come quello per il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, e poi con alcuni neomelodici in una villa privata.

Sul quotidiano 'La Repubblica' Maria Falcone si dice «indignata, amareggiata per le nozze d’argento del boss celebrate nella chiesa di San Domenico, è come se quel mafioso avesse fatto una prepotenza contro Giovanni, ma Giovanni dall’alto non si cura di loro».

Il rettore di San Domenico assicura di avere saputo solo dopo chi fosse la coppia e che l’offerta ricevuta dal boss non sarà restituita, ma utilizzata per «fare del bene a chi ne ha bisogno». Ma questo non sembra bastare a chi si è sentito ferito e c'è chi parla di «grave sfregio alla memoria e alla città» e punta il dito anche contro certi settori della Chiesa non ancora netti nei loro comportamenti.

La Chiesa di San Domenico edificata a partire dal 1640, con l’edificio di culto più vasto della Sicilia, è dell’Ordine dei Domenicani e non sotto la giurisdizione canonica dell’arcidiocesi di Palermo. Dalla metà del XIX secolo è accolto il Pantheon degli Illustri di Sicilia, uomini e donne che si sono distinti, e fra questi, dal 2015, Giovanni Falcone.

Lo scorso 23 aprile, in occasione del funerali di Vincenzo Agostino, in cattedrale, l’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice, aveva pronunciato parole nette, invitando a una «resistenza attiva e proficua alla mafia e alle tante forme del male strutturato che insanguina le strade della città, sparge afflizione nelle case e nelle famiglie, pianifica depistaggi, compra silenzi e connivenze anche tra esponenti del potere politico e delle istituzioni dello Stato». In una città che «ha assistito al sacrificio di tanti uomini e donne delle istituzioni, della società civile e della Chiesa palermitana», è necessario rinnovare l’impegno, incalzava don Corrado, per la «costruzione di una città degli uomini giusta e solidale, libera dalle 'strutture di peccato' mafiose e dalla corruzione e dalla falsità imperante».
In questo stesso Pantheon riposano, dal 23 marzo scorso, le spoglie di un altro siciliano illustre, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, con l’intenzione dichiarata di consegnare ed esaltare l’attualità del messaggio dello scrittore che sta nella sua capacità di analizzare il periodo di trasformazioni e di crisi in cui il suo romanzo più noto, «Il Gattopardo», è ambientato, e di raccontare la sicilianità delineando tipi umani universali. Ma, tra fauna più o meno nobile citata nel libro, iene, sciacalli, pecore, gattopardi e leoni, appare attualissimo quel messaggio che è un atto d’accusa contro una incapacità e una inadeguatezza, quasi strutturali, al vero cambiamento: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi».

Il rettore della chiesa di San Domenico: mafiosi scomunicati, soldi all'antimafia

«Come rettore della chiesa di San Domenico desidero precisare alcuni aspetti di questa vicenda al fine di fare definitiva chiarezza premettendo di essere - insieme con la comunità dei frati domenicani di Palermo - profondamente scosso e addolorato per l’accaduto. Appare evidente come da parte della nostra comunità non ci sia stata nessuna scelta di acquiescenza verso la realtà della mafia o - peggio - di connivenza con essa: non abbiamo avuto contezza delle persone che si sono presentate per chiedere di celebrare il rito religioso nella nostra chiesa, se avessimo saputo per tempo quale realtà essi rappresentavano, non avremmo mai dato seguito alla loro richiesta». Lo affermano il rettore della chiesa di San Domenico, padre Sergio Catalano, e il priore del convento padre Giuseppe Sabato, in merito alla vicenda.

La notizia, ampiamente diffusa dai media, «ha giustamente destato clamore e sdegno sia per la scomunica che la Chiesa ha comminato ai mafiosi, sia per la presenza in San Domenico - sottolineano - delle spoglie del giudice Giovanni Falcone, eroe della lotta alla mafia». La mafia «cerca ogni occasione per infiltrarsi nella società civile e nella Chiesa: da parte nostra - aggiungono - vigileremo con rigore e con regole nuove e più stringenti per evitare che simili episodi possano ripetersi in futuro».

I padri Domenicani si dicono «uniti e fermi nella condanna della mafia: proprio dall’iniziativa dei Domenicani di Palermo nel 2015, quando ero priore della nostra comunità conventuale, venne presa la decisione di traslare in San Domenico le spoglie di Giovanni Falcone. Quel gesto voleva essere il riconoscimento simbolico del ruolo del magistrato per il riscatto della Sicilia e, dal punto di vista della Chiesa, dell’altissimo valore evangelico del suo operato e del suo sacrificio. Noi siamo la Chiesa del Beato Pino Puglisi e di papa Francesco e per noi non c'è un’altra Chiesa».

Quanto al valore del rito celebrato, viene ricordato il passo di San Paolo nella Prima lettera ai Corinzi: «Ciascuno esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perchè chi mangia e beve senza riconoscere il Corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna» (1Cor 11,28). Non credano dunque i mafiosi di poter accedere ai sacramenti con sotterfugi di sorta: nessuna salvezza è possibile fuori da una prospettiva di pentimento e di conversione».

Grande risalto è stato dato alla questione dell’offerta lasciata dalla coppia alla chiesa. Il denaro ricevuto, ammontante a 400 euro, «verrà messo a disposizione - così come avviene per tutte le altre offerte che riceviamo - per finalità sociali. Ritengo che questa sia l’unica 'restituzione' possibile, in analogia - è la conclusione - con quanto avviene per i beni sequestrati alla mafia e destinati alla società civile. In tal senso, per dare un’ulteriore forza simbolica a questa 'restituzione', coordinandoci con le autorità, destineremo la somma in questione ad iniziative a sostegno della lotta alla mafia».

Caricamento commenti

Commenta la notizia