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"L'uomo del porto", la scrittrice netino-catanese Cristina Cassar Scalia: Sicilia da cartolina? No, grazie

Esce oggi il quarto capitolo della serie di cui è protagonista l’investigatrice Vanina Guarrasi, amatissima dal pubblico e dall’autrice («è la sbirra che avrei sempre voluto leggere»)

«La mia non è una Sicilia da cartolina e con Vanina ho un rapporto talmente tanto forte che, talvolta, ho l’impressione di sentire la puzza delle sue sigarette preferite». Parola di Cristina Cassar Scalia – originaria di Noto e di casa a Catania, medico oftalmologo e scrittrice di successo – che proprio oggi torna in libreria con “L’uomo del porto” (Einaudi). Si tratta del quarto libro della serie che vede protagonista il vicequestore Giovanna Guarrasi, detta Vanina, la trentanovenne palermitana trasferita alla Mobile di Catania.

«Vanina è una sbirra creata a immagine e somiglianza di quella che avrei sempre voluto leggere» e nelle prime pagine di questa nuova avventura – «ambientata nel 2016, in un tempo lontanissimo dal Covid», dice l’autrice in questa intervista per Gazzetta del Sud – è stata posta sotto scorta, dopo aver ricevuto una minaccia di morte dalla mafia palermitana. Come sempre, il territorio è grande protagonista delle trame di Cristina Cassar Scalia. Del resto, pochi conoscono la storia dell’Amenano, un corso d’acqua che secoli fa un’eruzione dell’Etna ha ricoperto di lava e che ora scorre sotto il centro storico di Catania: proprio lì dove affiora, in una grotta sotterranea, viene scoperto il cadavere del professore di filosofia Vincenzo Maria La Barbera, in una vicenda intricata che si macchia subito del «tanfo di criminalità organizzata». Libro dopo libro, con “L’uomo del porto” Cassar Scalia si conferma una delle voci più autorevoli del giallo italiano, costruendo un fitto intreccio di azione e sentimenti, spingendo Vanina al cospetto di dilemmi etici e sentimentali, ravvivando con forza il legame con i suoi lettori.

Una vicenda ambientata nel 2016, proseguendo sul medesimo asse temporale dei libri precedenti. C’era anche l’intento di lasciare da parte la pandemia?
«In parte sì, ma per fortuna i fatti narrati si svolgono anni addietro. Sicuramente non avevo alcuna voglia di inserire nei miei libri questa brutta vicenda, lasciandone traccia sulla pagina».

Abbiamo imparato a conoscere Vanina Guarrasi come una sbirra fiera e dall’indole libera ma “L’uomo del porto” principia con una routine decisamente diversa per lei. Cos’è successo?
«Vanina è stata messa sotto scorta, a causa di una credibile minaccia di morte che proviene dalla mafia palermitana: un proiettile, in una busta recapitata a casa sua. Tale e quale a quello con cui suo padre, l’ispettore Giovanni Guarrasi, era stato ucciso venticinque anni prima. Vanina era stata vicina al suo ex compagno, il sostituto procuratore alla DDA di Palermo, Paolo Malfitano, e con la pistola in pugno gli aveva salvato la vita, ma sino ad oggi non aveva mai subito minacce».

Come la vive?
«Malissimo. C’è la scorta armata, alla quale si aggiunge un membro della sua squadra. Lei apprezza molto lo sforzo per proteggerla ma è pur sempre una costrizione difficile da mandar giù, impedendole di condurre la vita che ama, libera di andare in trattoria e uscire in piena notte per condurre le indagini e fare i sopralluoghi. È una storia con un ritmo e una prospettiva diversa dal solito».

Tutto ciò la avvicinerà a Paolo…
«Sono sulla stessa barca, entrambi minacciati, entrambi scortati, entrambi preoccupati l’uno per l’altra. Vanina vorrebbe tenersi a distanza ma questa contingenza le permette di mettersi nei suoi panni e si rende conto che lui è sempre presente. Non solo, trovarsi sotto scorta metterà in dubbio altre convinzioni personali e private…».

Perché ha scelto l’Amenano?
«Mi piaceva raccontare la storia, decisamente poco nota ai non catanesi, di questa grotta nel centro di Catania e del fiume sommerso dalla lava. Raccontare il territorio è sempre molto importante per me».

A proposito, giunta al quarto libro della serie, che Sicilia ha scelto di raccontare?
«Niente cartoline, per carità. Il territorio che narro, fra Catania e Palermo, lo declino sempre in modo realistico, dando conto delle sue tante bellezze ma senza celare ciò che proprio non funziona perché la Sicilia va raccontata interamente. Sì, l’isola è grande protagonista e ammetto che mi piace molto l’idea che un lettore di Vanina possa essere affascinato da questa terra, tanto da volerla scoprire con i suoi occhi, partendo dalla pagina per ritrovarne la magia».

"Màkari”, tratta dai libri di Gaetano Savatteri, e “Anna”, tratta dal romanzo di Niccolò Ammaniti: il racconto della fiction sicula e mainstream le piace?“
«Sono molto curiosa di vedere “Anna” e la Sicilia in una dimensione apocalittica, ma ho già visto “Màkari”, mi è piaciuta molto. È bello ritrovare i nostri luoghi e la nostra lingua, protagonista di storie in tv».

E Vanina? Arriverà sul piccolo schermo con una sua fiction?
«Il progetto è in lavorazione. Ma il resto è top secret (e si concede una risata)».

Il dialetto siciliano è importante nelle sue storie?
«Molto. Uso il siciliano laddove credo sia ovvio. Se parlano il commissario Biagio Patanè e sua moglie Angelina penso che sia più probabile che usino la lingua siciliana, non per una questione di cultura ma perché lo trovo più verosimile. E quando entrano in pagine personaggi secondari, come il pescatore o un pentito di mafia, emerge un siciliano più stretto. Ma nella narrazione generale lo doso con grande cautela».

Quarto libro della serie, che rapporto ha con Vanina? Chi comanda?
«Le trame di questi libri nascono rapidamente nella mia testa e, a dirla tutta, ho già in mente la prossima. Ho sempre chiara in mente la struttura ma ogni volta lei mi sorprende, pagina dopo pagina sa stupirmi. Con Vanina ho un rapporto talmente tanto forte che, talvolta, ho l’impressione di sentire la puzza di fumo delle sue sigarette».

Cristina, dulcis in fundo, l’annosa domanda: c’è una formula per raggiungere il successo e far innamorare i lettori?
«Non penso. Credo nel duro lavoro della scrittura, la storia deve appassionare prima di tutto chi la scrive. Vanina è nata in modo genuino, senza alcuna influenza esterna, lei è davvero la sbirra che avrei sempre voluto incontrare da lettrice di gialli».

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