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"Sesso più sesso meno", a colloquio con l'autore siracusano Fillioley e la sua Sicilia "vera"

Una storia sugli stati d'animo nei rapporti amorosi, ambientata in un'Isola "meno cartolina e senza ricorrere a clichè"

Mario Fillioley, lo scrittore siciliano con un passato da libraio al suo romanzo d'esordio

Lasciatevi tentare dal titolo, “Sesso più, sesso meno”, accostatevi con fiducia alla prosa di Mario Fillioley, siciliano doc con un passato da libraio che in questo nuovo libro racconta le disavventure sentimentali di un gruppo di adulti, firmando un bel romanzo sull’amore, un girotondo emotivo ambientato a Siracusa e dintorni, con un ritmo lieve e un passo felice.
Con questo romanzo d’esordio, Fillioley – l’autore di “Lotta di classe” (minimum fax, 2016) e “La Sicilia è un’isola per modo di dire” (minimum fax, 2018) - restituisce il piacere puro della lettura, non propina massime esistenziali o punti di vista ombelicali, piuttosto è un narratore che si diverte – si “sciala” – a provocare già dalla propria bacheca Facebook, fra l’ossessione per il cibo - «il mio ultimo pasto ideale? Una brioche con il gelato», dice al telefono – e il rapporto con la Sicilia. Già, l’isola. Abituati a leggere di commissari e saghe, quando qualcuno cambia il punto di vista, raccontandone la bellezza e al contempo, le nevrosi e le brutture, si rischia di restare straniti. Tutto questo e altro ancora, lo troviamo nel suo primo romanzo, “Sesso più, sesso meno”, narrando di Peppe e Arianna, due insegnanti, che si vedono e fanno sesso. Non hanno una relazione vera e propria ma si lanciano in lunghe digressioni esistenziali-emotive, credendosi il centro del mondo e finiscono per rivelarsi asfittici, incapaci di vera empatia.
E poi ecco una girandola di comprimari – Luca, il cameriere che cerca di capire il mondo, Brigida, una maestra di tennis con il doppio lavoro, Enzo, l’aiuto cuoco seduttore e infine, Sergio e Cristina, due ex che hanno sofferto per amore – mostrandoci diverse sfumature e prospettive sentimentali. Lasciatevi tentare ma sappiatelo subito: «altroché Sfumature, qui si parla e basta, come nei film di Woody Allen». E si ride tanto, delle nostre stesse nevrosi.

Mario, hai un lungo passato da libraio nella tua città. Questo titolo può spaventare il lettore medio?
«È stata una scelta dell’editore che mi faceva paura ma mi sono reso conto che è perfetto, “Sesso più, sesso meno” può diventare un tormentone. Non credo d’aver scritto un libro sul sesso, c’è molta teoria fra le pagine ma non si rimanda all’atto fisico. È un romanzo sugli stati d’animo non sulla fisicità dei corpi ma almeno da una certa generazione in poi, chi prova a far distinzioni nette fra sesso e sentimenti, finisce per mettersi nel ridicolo».

“Sesso più, sesso meno”. Di cosa si tratta?
«È un’espressione che usa Peppe, una teoria da rotocalco. C’è un “sesso più” - addizionato di sentimenti e coinvolgimento emotivo - e un “sesso meno” ovvero quello in purezza, ginnastica di piacere. Peppe, il mio protagonista, ci rimugina parecchio sopra cercando la quadra e i personaggi che tratteggio non sono nemmeno capaci di comunicare, avvolti nelle loro fissazioni, intenti a ripararsi dagli urti della vita».

Gli uomini vengono da Marte e le donne da Venere?
«Al contrario. Gli uomini che racconto sono piagnucolosi e vorrebbero mettere su famiglia mentre le donne hanno vissuto molte relazioni, sono state mogli, fidanzate e amanti, traendone un atteggiamento diverso, disincantato. Gli uomini sembrano incapaci di distinguere il sesso dall’amore, creando grandi malintesi…».

È un libro pieno di cortocircuiti comunicativi?
«Proprio così, tutti parlano ma nessuno compie lo sforzo di ascoltare. Non solo, Peppe ricava una teoria da tutto per interpretare il mondo e finisce per ammorbare tutti gli altri».

Sono cambiati i tempi?
«La verità è che mentre i nostri genitori attorno ai quarant’anni, avevano trovato lavoro e messo su famiglia, pronti a godersi la vita, oggi noi siamo in preda ai dilemmi esistenziali, finendo per mettere paletti e alimentando fissazioni varie».

Mario, la tua battaglia è raccontare una Sicilia diversa?
«Reale, direi. Meno cartolina e senza ricorrere ai cliché. Chiariamoci, le saghe familiari sono un genere da rispettare, quella Sicilia immobile e bellissima non va disprezzata e inoltre, piace tanto al pubblico. Ma è bello notare che stiano emergendo voci nuove che raccontano l’isola come un luogo, oserei direi normale, smorzando i fuochi d’artificio».

Cosa rimane?
«La verità»

Una scelta necessaria?
«Altrimenti si rischia di diventare prigionieri dell’isola, la Sicilia può mangiare tutta la trama in un sol boccone».

Scrivere con un taglio ironico – seppure con sfumature agrodolci - in Italia, è rischioso?
«Credo sia caratteriale, non potrei fare diversamente. Ho bisogno di un punto di vista distaccato che lasci emergere gli aspetti ridicolizzanti della realtà, quell’eccesso di serietà. Corro il rischio che mi si appiccichi un’etichetta e forse non sarò mai l’autore del circolo dei lettori chic ma, in fondo, va bene così».

Racconti la Sicilia bellissima e quella atroce degli abusi edilizi. In questa nostra isola l’uomo crea solo guai?
«Parliamo di Siracusa, che vista dall’alto, ha delle stratificazioni di danno e io non assolvo nessuno, dai greci in poi. Bisogna allargare al massimo lo zoom di Google Earth, lasciare scomparire i palazzi e gli abusi edilizi per ritrovare la bellezza di un posto davvero miracolato. Siracusa è una pepita d’oro gigantesca, siamo fortunati e non lo capiamo».

Nelle ultime pagine, Peppe finisce in una polemica sul significato di “essere bravo a letto”. Cosa significa?
«La trovo un’espressione insopportabile, come se sotto le lenzuola ci siano delle tecniche meccaniche dal risultato indiscutibile, al pari di saper fare la pizza o cambiare una ruota. Alla fine, parliamo sempre di sesso e sentimenti, dell’impossibilità di applicare le teorie per decodificare il caos della vita vera».

Dar voce alle donne, ti è piaciuto?
«Una sadica vendetta, lo ammetto. Mettermi davvero nei panni di una donna era impossibile, ho preferito un discorso di prospettive come se muovessi la macchina da presa, con un timbro uniforme e nevrotico».

«Mario Fillioley, lui si che le capisce le donne». Possiamo dirlo?
«No. Assolutamente, no».

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