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L’Isola fimmina, d’amore e di rabbia. Il primo romanzo di Giusy Sciacca

Nella storia di Amelia tutte le donne che lottano per cambiare i mondi

«Non ho scritto un romanzo sulle donne siciliane, ma una storia corale che trascina una complessità di istanze esistenti allora come adesso». Traendo spunto da un sanguinoso fatto di cronaca, poi sepolto dalla polvere, la scrittrice siciliana (di Lentini) Giusy Sciacca firma il suo primo romanzo, «D’amore e di rabbia» (Neri Pozza pp.224 €18), ambientandolo nel primo Novecento fra Catania e Lentini, «fra il biennio rosso e l’avvento del fascismo», chiamando sulla pagina Maria Giudice – «figura illustre del sindacalismo e del femminismo, madre di Goliarda Sapienza» – e dando vita ad una protagonista, Amelia Di Stefano, che scoprirà il lato amaro della libertà, «una donna fuori posto, non un’eroina, l’istantanea della condizione femminile nel suo tempo» che dovrà compiere una scelta cruciale.
Dopo il successo ottenuto con la raccolta «Virità, femminile singolare-plurale», Sciacca, scrittrice e controllore del traffico aereo, firma un romanzo storico benedetto dal sole e dalle lacrime dell’isola.
Com’è nato «D’amore e di rabbia»?
«Avevo solo sentito raccontare di questo evento cruento, accaduto a Lentini, terra di confine tra la provincia di Catania e di Siracusa e ho fatto molta ricerca per ricostruire fedelmente tutto il contesto storico-politico: siamo nel primo Novecento, nel pieno scontro tra rivendicazioni bracciantili e politica latifondista. Un momento cruciale della nostra storia che ha segnato la storia della Sicilia a seguire e dell’intero Paese».
Amelia è una donna forte, passionale, che dà scandalo. È pericoloso voler essere fedeli alla nostra natura, andando contro le regole?
«Sempre. Ed è ancor più faticoso scoprire la propria natura innanzi tutto. Amelia è una figura moderna per la sua epoca e la nostra. Lo è sempre stata fin da adolescente, quando commette un errore imperdonabile, da cui si origina il suo stigma. Vivrà un lungo e travagliato percorso di crescita personale e presa di coscienza. È in bilico tra due mondi, quello della Catania luminosa e della Lentini rurale, due ideologie, ma soprattutto tra gli schemi sociali dettati dal suo tempo e un’indole scalpitante che brama cambiamento».
Accanto alla sua protagonista c’è Maria Giudice. Chi è?
«Amo da sempre Goliarda Sapienza. Avevo letto anche del suo rapporto con la madre, figura illustre del sindacalismo e del femminismo. Lombarda di nascita, prima dirigente donna del partito socialista, Maria Giudice è un esempio titanico di attivismo per una nuova coscienza morale e culturale nei lavoratori e nelle donne. Nel corso della ricerca ho realizzato che nella storia lei sarebbe stata coinvolta e non ho avuto dubbi. Nasce da qui l’idea del romanzo».

Ultimamente in editoria è un fiorire di storie di donne siciliane, mostrando la vita amara, i sacrifici, le battaglie. È anche una questione di presa di coscienza storica delle fimmini?

«Nelle mie intenzioni il romanzo non si limita alla sola prospettiva femminile, ma si estende all’intera comunità che matura fino al raggiungimento di una coscienza di classe. Esiste certo un legame tra le donne, che si aiutano e si comprendono. Ed esiste il riconoscimento del ruolo svolto nell’ombra a tutte le donne, che hanno avuto la forza di lottare. La protagonista, Amelia, non è un’eroina. È una donna. È l’istantanea della condizione femminile nel suo tempo, un frutto incompiuto lungo un percorso di emancipazione per gran parte del romanzo che solo alla fine, e alla vigilia di un nuovo ordine delle cose, compirà una scelta. Una prospettiva delicata questa, che sfugge ai cliché interpretativi».

Dal racconto al primo romanzo. Com’è cambiata, si è evoluta, la sua scrittura? Cosa l’ha spinta verso questo respiro più ampio?

«Avevo già abbozzato dei romanzi, per questa storia mi sentivo pronta a mettermi in gioco. Volevo raccontare questa storia toccando temi che mi stanno a cuore. Il romanzo è architettura, equilibrio dalla prima all’ultima pagina. È assai sfidante. Inoltre, richiede una preparazione documentale non indifferente, trattandosi d’un romanzo storico. Inoltre, ho avuto la possibilità di lavorare con un grande editor e scrittore, Roberto Cotroneo, che mi ha aiutata a maturare come autrice. Un’esperienza illuminante».

Dalla Sicilia arcaica e sanguinaria d’allora a quella di oggi, fra la crisi economica e la disoccupazione. Ci sono punti di contatto nello sguardo all’isola?

«I punti di contatto sono così fitti da tracciare un filo lungo un secolo. Se confrontiamo le due istantanee temporali, 1922 e 2023, discutiamo ancora di diritto al e del lavoro, diritti degli omosessuali, parità di genere e molto altro. A voler guardare bene, il lettore più attento rinverrà dinamiche che liquidare come semplici corsi e ricorsi storici sarebbe semplicistico».

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