Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

La Pace almeno a teatro vince tutto. La commedia di Aristofane in scena a Siracusa

Tra la “missione stercoraria” di Trigeo (Giuseppe Battiston) e i riferimenti all’attualità

Ogni pace comincia dalla guerra, e non fa eccezione «La Pace» di Aristofane, messa in scena per la Fondazione Inda da Daniele Salvo con grande mestiere e coraggio: è la prima assoluta d’una commedia mai rappresentata finora al teatro greco di Siracusa (sebbene prodotta, in passato, dall’Istituto), e avviene in un tempo di guerra, d’una guerra (in effetti, “soltanto” una delle 59 in corso in questo momento nel globo terracqueo) che percepiamo come minaccia globale.

Eppure siamo fortunati, noi moderni: per noi la pace è la condizione naturale, e la guerra è una mostruosa deviazione, proprio il contrario degli antichi. Certo di Ateniesi e Spartani, la cui guerra durava già da dieci anni quando, nel 421 a. C., andò in scena la commedia di Aristofane, pochissimo prima della firma d’una fragile pace. E un assaggio lo vediamo da subito, dalla danza stilizzata di guerrieri che ci dà la cornice giusta, dello spettacolo e di questa scelta così forte: dopotutto, lo specifico della commedia antica è interloquire con forza con l’attualità, ridicolizzarla o riscattarla tirando sul palco personaggi ed episodi.

E mentre la tragedia dialoga con gli archetipi e il perenne, la commedia fa il lavoro sporco. Sporchissimo, anzi: che sia così poco rappresentata è un peccato, perché l’inizio della «Pace» è travolgente, coi servi del vignaiolo Trigeo intenti a confezionare i pasti del più improbabile degli animali magici, un gigantesco scarabeo stercorario, autentico gourmet delle polpette di escrementi. E la traduzione agile, sapiente e divertente di Nicola Cadoni – tra uno “Zeus (Pe)tonante” e una “merdaccia” fantozziana – fa da subito scintille, come è scato...logico che sia.

Trigeo, per il quale è stato scelto Giuseppe Battiston, volto gentile della comicità in tv e al cinema, è una sorta di visionario eroe dell’umanità, che si autoincarica d’un compito improbo: salire alla dimora di Zeus per persuaderlo a mettere fine alla guerra continua degli umani. Assieme, ovviamente, al suo copro-tagonista, lo scarabeo, anzi lo “scara-boat”, esatto e puteolente opposto d’un Pegaso, il nobile cavallo alato: e fa un bell’effetto, quella macchina volante d’un brillante verde che solca lo spazio del teatro (questo è l’anno delle elevazioni, delle gru, degli ex machina, che siano eroi tragici o umani antieroi), opera di Michele Ciacciofera, come tutte le immaginifiche installazioni.

Trigeo però troverà l’Olimpo (una sorta di luccicante sfera armillare, atomo o “Genesa”, idea centrale della scenografia firmata da Alessandro Chiti) deserto, eccetto Ermes (l’effervescente, e vero mattatore in scena, Massimo Verdastro, che interpreta pure l’indovino ciarlatano Ierocle) che sta finendo il... trasloco: gli dei se ne sono andati, nauseati dall’umanità guerrafondaia, e hanno lasciato lì soltanto il dio Polemos (Patrizio Cigliano), un po’ demone un po’ supereroe, che, incatenata la dea Pace sottoterra, s’appresta a fare polpette (anche lui) dell’umanità e della Terra, efficacemente rappresentata in una mappa del Mediterraneo che viene come risucchiata negli inferi.

Ma la commedia, come sempre in Aristofane – e questo è il busillis – non finisce con la vittoria di Trigeo, la sconfitta di Polemos e la liberazione della Pace (Jacqueline Bulnés) accompagnata dalle leggiadre Opora, dea dell’abbondanza (Federica Clementi), e Theoria, dea della festa (Gemma Lapi). Da lì si apre la seconda parte, assai più scenicamente ardua, in cui il collegamento tra diverse scene staccate – la celebrazione delle nozze fra Trigeo e Opora, culminante in un dono fallico extralarge, le proteste dei mercanti d’armi che con la pace hanno finito di fare affari, o dei falsi indovini che hanno tutto da guadagnare dai tempi oscuri e violenti (ogni riferimento alla realtà di oggi è puramente casual) – è affidato all’abilità della regia, all’afflato corale, all’impasto di sonorità contaminate della musica (originale, di Patrizio Maria D’Artista, che spazia dalla Traviata a Goran Bregovic, dalla classica al musical), al gioco dei dialetti, alla sapiente concertazione dei tanti personaggi in scena (i movimenti sono di Miki Matsuse), nella celebrazione della pace incarnata dal personaggio più poetico, il contadino come lo intendeva Pasolini, abitatore “originario” d’un mondo arcaico quasi sparito, portatore naturale d’una pacifica saggezza, fuori dai giochi di potere e dagli interessi dei potenti (tutto ben sottolineato dalle forme e dalla “materia” dei costumi del coro pensati da Daniele Gelsi, tra maschere etniche e fibre, canapi, iuta, paglie e fieni che diventano abito).

Tra tentazioni d’attualizzazione (che sono sempre scelte difficili, e stavolta passano, anche, per un «Vladimir Cleone» che però non suona male)(e soprattutto si ferma lì) e collaudati meccanismi comici, arrivano uno dopo l’altro un finale, due finali o forse tre. Quando la Pace, per bocca della bravissima Elena Polic Greco (anche corifea e direttrice dei cori cantati: un punto di riferimento indiscusso, assieme a Simonetta Cartia, della gioiosa macchina Inda, così come tutto il coro dei bravissimi allievi e allieve dell’Accademia d’arte del dramma antico), in una scena fitta di bandierine che ricorda il Palazzo di Vetro dell’Onu o una sala del Parlamento Europeo, recita il monologo di Giocasta dalle “Fenicie” di Euripide: un monito severo agli uomini, che non si facciano accecare dalla sete di potere, precipitando «nei giorni dell’odio».

Una scelta di certo ardimentosa, considerate le ben note frecciate (o cannonate, o polpette avvelenate) di Aristofane – che nella Pace (ben interpretato da Martino Duane, che è anche, con Simone Campi, uno dei servi di Trigeo) irrompe direttamente in scena a parlare al “suo” pubblico rivendicando la sua rettitudine di «uomo di teatro» – contro Euripide, visto che un cardine della sua comicità è proprio la parodia più derisoria dei colleghi poeti tragici. Ma la via della commedia, oggi, è lastricata di difficoltà e buone intenzioni, e il pubblico ha comunque gradito.

Tutto ottimo e generoso il cast, di cui fanno parte i corifei Francesca Mària (anche figlia di Trigeo, come Stella Pecollo), Gaetano Aiello (anche un divertente Macello), Giuseppe Rispoli (anche mercante di armi), Paolo Giangrasso (anche fabbricante di falci), Enzo Curcurù, Marcella Favilla, Giancarlo Latina, Francesco Iaia.
In scena fino al 23.

Caricamento commenti

Commenta la notizia