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La tenacia dei siciliani nei gialli di Salvo Toscano. Le indagini dei “fratelli Corsaro” diventeranno una serie Mediaset con Beppe Fiorello

Lo scrittore palermitano a Messina per presentare il suo ultimo libro

“Sono siciliani di tenace concetto” (per citare Sciascia) i due fratelli Corsaro, “investigatori” palermitani nati dalla penna del loro concittadino Salvo Toscano, giornalista del TGR Sicilia a Palermo, blogger e scrittore che ai suoi “fratelli” di carta, Roberto e Fabrizio, il primo avvocato penalista, l’altro cronista di nera, ha già dedicato ben nove romanzi. E il decimo, “La lama dell’assassino” (Newton Compton Editore), che sarà presentato a Messina oggi alle ore 18.30 in un incontro organizzato dalla libreria Bonanzinga, e che conferma come sulla nera pagina della realtà ci sta la scrittura nera (per ricordare nuovamente Sciascia), è uscito in libreria poco prima dell’annuncio che i primi quattro capitoli della saga diventeranno una serie Mediaset in onda su Canale 5, con Beppe Fiorello nei panni di Fabrizio Corsaro. Una produzione Camfilm e Taodue, con la regia di Francesco Miccichè e la sceneggiatura di Salvatore Di Mola e Pier Paolo Piciarelli, due veterani della fiction gialla (hanno firmato Il commissario Montalbano e Imma Tataranni) che si muoveranno tra i luoghi di Palermo dove già a fine agosto inizieranno le riprese.

Abitava in un quartiere di Palermo, che «era città ma praticamente campagna», Elena Vitale, una quindicenne scomparsa mentre rientrava a casa dopo aver concluso la sua lezione di danza; perciò Fabrizio, saputa la notizia, si mette subito in movimento «con l’adrenalina in corpo e la sensazione che stia cominciando qualcosa di grosso». Non si sbaglia perché la scomparsa della ragazza viene attribuita a un «mafioso di vaglia», Rinaldo Quartararo, sospettato di aver rapito Elena a scopo di estorsione. Seguono questa pista gli inquirenti, che assicurano, a favore delle telecamere, come le «indagini procedano spedite». Non è così, e in questo caso la mafia non c’entra, ne è convinto Fabrizio e pure suo fratello Roberto che assume la difesa di Quartararo, già suo cliente in passato. Non credono alle coincidenze i due fratelli, la scomparsa di Elena fa pensare a quella, nel 1997, di Rosalba Marfia, anche lei quindicenne e appassionata lettrice (“La lama dell’assassino” mutua il titolo dalla “lama del tempo”, un sintagma tratto da un verso di un Sonetto di Shakespeare che piaceva a Rosalba), di cui non si seppe più nulla, e intanto, nelle campagne madonite non si trova un giovane disabile mentale, come racconta Dario Matranga, giovane avvocato collaboratore di Fabrizio.

E dunque, c’è sempre qualcosa che costringe a indagare, perché il male serpeggia oscuro e il crimine è un fatto profondamente umano, nelle sue cause come nei suoi effetti. Per raccontarlo, nell’agorà del “giallo” e del “nero” siciliano c’è, oggi, una ricchezza d’invenzione e di stile che veramente la Sicilia va messa narrativamente al plurale, tra nipotine e nipotini di Sciascia e di Camilleri, insieme a muoversi tra la luce e il lutto, l’inganno e la menzogna, tra le contraddizioni e le urgenze della quotidianità, tra il grottesco e il comico anche quando le ombre pretendono d’imporsi.

Sono sempre interessanti le bugie e quando Roberto e Fabrizio, entrambi determinati a incalzare le imposture del mal senso comune, se le ritrovano davanti, gli interrogativi si affollano nelle menti dei due fratelli che ragionano e raccontano ognuno per suo conto, per poi incrociare la passione per la verità con dati di fatto: Roberto, attento a scandagliare le possibilità di una giustizia giusta, Fabrizio, benché “cazzaro” secondo il fratello maggiore, impegnato in un’informazione onesta che si sottragga alla logica perversa del mostro ad ogni costo in prima pagina. Perché una giustizia, così come un’informazione senza etica, rappresentano una società e un paese anch’essi senza morale. C’è tutto nel laboratorio narrativo di Toscano (già semifinalista al premio Scerbanenco, finalista al premio Zocca e vincitore del Premio Telamone).

Bene alternati i piani temporali, fluidi i dialoghi e le incursioni di taglio sociologico-antropologico, già delineati i fratelli Corsaro sin da “Ultimo appello”, primo capitolo della serie, con due delitti di giovani donne solo apparentemente estranei tra loro. Uno schema vincente che si ripropone nella seconda indagine, “L’enigma Barabba”, in cui la “crocifissione” di un sacerdote teologo, l’uccisione di una donna anziana e la sparizione della sua badante polacca sono collegati in modo misterioso con la storia di Barabba, al quale il sacerdote aveva dedicato la sua ultima opera.

E poi, ancora, “Insoliti sospetti” in cui Fabrizio viene perfino sospettato della morte di un salumiere appena uscito dal carcere dove era stato detenuto ingiustamente e che il cronista doveva incontrare per un’intervista, e via via per raccontare la complessità della realtà e scavare negli abissi dell’umano, “Sangue del mio sangue”, “Una famiglia diabolica”, “L’uomo sbagliato”, “La tana del serial killer”, “Memorie di un delitto” e “L’intruso” (tutti editi da Newton Compton).
Passano gli anni e Fabrizio e Roberto, diversi per carattere ma legatissimi tra loro e alla madre, si ritrovano insieme nel respiro della città per le loro ricerche. Roberto, «sposato fin dai tempi delle elementari» con Monica, Fabrizio “femminaro” impenitente anche se poi si accasa con Maria.

I problemi della redazione con prepensionamenti e esodi, la successiva crisi con la moglie, la separazione e una nuova maturità con l’affido del piccolo rumeno Nicolae, per Fabrizio; e per Roberto, la vivacità della vita familiare con i figli che sanno dare anche loro «coltellate», la consapevolezza degli anni che avanzano, gli amici di sempre, i rapporti non sempre facili con i colleghi. Per entrambi la constatazione della «dedizione alla bruttezza del genere umano», e Palermo nelle viscere e nel cuore, con le sue periferie e i quartieri degradati, ma anche con la sua esuberanza e gli azzurri del suo cielo. La vita va avanti, capitolo dopo capitolo, per i due fratelli, come per tutti, ma l’oscenità del male che si annida anche nella famiglia, laddove bisognerebbe essere protetti, la violenza gratuita, l’odio del mondo, sono un’unica trama nella quale cambiano solo i dolorosi “dettagli”.

 

 

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