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"La boffa allo scecco", l’ultimo romanzo di Roberto Alajmo è un “antipoliziesco” col più improbabile degli investigatori

Terza indagine “involontaria” per Giovanni Di Dio, detto Giovà, il goffo metronotte di Partanna nato dalla penna di Roberto Alajmo, il giornalista, scrittore e drammaturgo palermitano che in questa serie dipinge gli aspetti drammaticamente grotteschi di una Sicilia sempre a mezza strada tra la tragedia e la luce, tra la bellezza che stordisce e il degrado che ottunde.

Antifrastico sin dal titolo, «La boffa allo scecco» (Sellerio editore) segue a «Io non ci volevo venire» e a «La strategia dell’opossum», un «poliziesco anticonvenzionale» che porta il lettore a sorridere (il tragicomico come cifra peculiare della narrazione) e poi a chiedersi, alla fine: ma ho fatto bene a sorridere di questa storia? Ecco, allora che la convinzione sciasciana dell’autore che ogni verità è un’impostura non ancora demistificata, è più amara che mai in questa “indagine” in cui nel confine ambiguo tra verità e giustizia, tra vittima e colpevole, tra male e banalità, si gioca tutto.

Giovà, che condivide con la maschera siciliana di Giufà non solo l’assonanza onomastica, sta per cadere in una nuova trappola ed essere, appunto, lo “scecco” della situazione, l’asino sul quale cade, in ultimo, la “boffa”, ovvero lo schiaffo dell’aneddoto popolare. E tuttavia, benché sospeso sempre tra una fame bulimica, uno stupore alla Candido e un sonno oblioso, benché tutti, familiari compresi, lo ritengano scimunito, Giovà riesce a “risolvere”, per eterogenesi dei fini, i casi criminosi in cui si ritrova, tirato in mezzo da una mafia per ridere (perciò ancora più spaventosa nella lettura antifrastica di Alajmo), mentre vorrebbe solo vivere “tranquillamente” tra lavoro (procuratogli dalla Zzu, il boss della borgata), rosticcerie proibite dalla dieta a zucchine bollite della madre Antonietta, e il suo lettino di bambinone cinquantenne.

Eppure questa terza indagine, con quattro morti ammazzati, sembra proprio confermare come il povero Giovà viva in quella terra di nessuno tra Stato e controStato, nella quale la banalità del male (traffici illegali, droga, crimini, violenza, scambi di “favori”) s’infiltra anche tra brave persone.
In quella terra torbida sta pure la famiglia matriarcale di Giovà: Antonietta, che ama il figlio di un amore crudele, la svanita sorella Mariella, l’accomodante zia Mariola, la pettegola vicina Mariangela. Un potente coro aristofaneo cui per salvarsi non basta la forza del femminile e il rifugio nella quotidianità (mirabile la scena della preparazione della “sarsa” e dell’ “astratto” di pomodoro), anch’esse vittime-esca come Giovà, e senza alcuna speranza di riscatto.

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