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Quelle «96 ore» in cui si compiono i destini di tre giovani nello spettacolo del messinese Angelo Campolo

Un’inchiesta divenuta materia teatrale, fatta di storie ispirate a testimonianze. La produzione è del Teatro Biondo di Palermo

Ritorno a casa, comunità, carcere. Una scelta che probabilmente cambierà per sempre il destino di una giovane vita. Una scelta che un giudice compie dopo che assistenti sociali, personale d’accoglienza, hanno accompagnato per 96 ore chi ha compiuto un reato e deve fare i conti con le conseguenze. In Italia ci sono 25 CPA, ovvero Centri di prima accoglienza, un luogo previsto dalla giustizia italiana per ospitare minorenni dopo un fermo in flagranza di reato, fino all’udienza di convalida con il giudice, entro il termine tassativo, appunto, di 96 ore. Ed è in questi CPA che Angelo Campolo, attore, autore e regista messinese, da anni impegnato in un percorso di incontro e narrazione di esistenze fragili – migranti, minori in situazioni a rischio – ha condotto un’inchiesta divenuta materia teatrale dello spettacolo «96 ore», produzione del Teatro Biondo di Palermo, dove il lavoro è stato in scena per due settimane, nella sala Strehler, in collaborazione con DAF Project nell’ambito del protocollo di intesa tra USSM Palermo, Teatro Biondo Palermo, Daf Project.

Compongono l’ossatura dello spettacolo tre storie ispirate a testimonianze raccolte da Campolo, che in scena orchestra la narrazione fra momenti laboratoriali, spaccati di vita e intensi racconti. Con lui l’attrice Nunzia Lo Presti e tre giovani impegnati in un percorso «di messa alla prova giudiziaria»: Serena Di Verde (che poi lascia spazio a Lavinia Coniglia, una delle attrici allieve della scuola del Biondo), Giovanni Minardi, Michael Nicola Mulè. Un viaggio nella giustizia minorile e assieme un’articolata riflessione, condivisa col pubblico che ne coglie sfumature e tensioni, sul tema del tempo, da vivere, da costruire, che si ferma nell’istante in cui un giovane entra in un CPA.

A raccontare come “funzionano” questi luoghi è l’assistente sociale Rita Giordano, nell’intensa e sempre misurata interpretazione di Nunzia Lo Presti: vere e proprie “case”, non carceri, dove si trovano dormitori, una sala ricreativa, uffici, spazi che accolgono minori dopo il momento traumatico del fermo. Un lavoro delicato, basato sulla cura e l’ascolto. È a partire da questo ascolto che si costruiscono le storie sulla scena. C’è Dultay, che porta su di sé lo stigma di appartenere alla etnia Rom, e poi c’è Mirko, l’unico che durante quelle 96 ore, nella sala ricreativa, ha utilizzato i pastelli colorati per provare a raccontare qualcosa di sé, perché a volte le parole hanno un peso troppo grande per essere dette. In un continuo scambio fra racconto e presente, poi, in uno spazio scenico essenziale ma sapientemente riempito di segni che vi donano forza e poesia – scene e costumi di Giulia Drogo, musiche di Giovanni Puliafito, assistente alla regia Antonio Previti – i tre giovani poi diventano protagonisti di intensi momenti di condivisione, si confrontano con le parole di Amleto, e riflettono sul loro rapporto con la città di Palermo, madre e matrigna, che li accoglie e talvolta li respinge, disegnando così un finale diverso alle loro esistenze, sulle tracce, cariche di umanità, delle storie portate sulla scena.

Intanto, una nuova affermazione per lo spettacolo “A te e famiglia” firmato sempre da Campolo, e Giulia Drogo, prodotto da DAF Project, anch’esso incentrato su una riflessione sulla giustizia minorile a partire dalle esperienze con i ragazzi del programma educativo "Liberi di Scegliere" promosso dal giudice Roberto Di Bella, attuale presidente del Tribunale dei minori di Catania: è tra i vincitori del bando “Per chi crea – Live e promozione nazionale e internazionale”. In scena, con Campolo, la giovane cantautrice vicentina Giorgia Pietribiasi.

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