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“Sblocca cantieri” e Recovery Plan, le opere più costose tutte al Centro-Nord

Marzo 2020: si era nel pieno dell'emergenza Covid. In un articolo pubblicato su un quotidiano del Nord, si indicavano dodici progetti da sbloccare e da realizzare «per far ripartire l'Italia». Sapete quali erano?

1) La Gronda di Genova, cioè una nuova autostrada a due corsie per senso di marcia tra la Val Polcevera e l'abitato di Vesima, nel capoluogo ligure. Un'infrastruttura che comprende 65 km di nuovi tracciati e si allaccia agli svincoli che delimitano l'area cittadina (Genova Est, Genova Ovest, Bolzaneto), si connette con la direttrice dell'A26 a Voltri e si ricongiunge con l'A10. Previste 23 gallerie insieme con la costruzione di 13 nuovi viadotti e l'ampliamento di 11 viadotti esistenti. Il costo? Superiore ai 5 miliari di euro. 2) Torino-Lione. La famosa o famigerata “Tav”, un collegamento tra il Piemonte e la Francia che costerebbe 8 miliardi 600 milioni di euro. 3) L'adeguamento sismico e la messa in sicurezza della Strada dei Parchi, quella che si snoda lungo le due autostrade A24 e A25 tra Lazio e Abruzzo: un intervento infrastrutturale che vale 3,14 miliardi. 4) La terza corsia della A11 tra Firenze e Pistoia, spesa prevista di 3 miliardi. 5) L'autostrada Roma-Latina di cui esiste da anni un progetto mai realizzato e che prevede un importo di 2 miliardi 800 mila euro. 6) La tratta Verona-Vicenza-Padova del sistema delle tangenziali venete (2,2 miliardi). 7) Il prolungamento delle metropolitane romane A, B, B1 e C e la conversione della Roma-Lido, della Roma-Viterbo e della Roma-Giardinetti. 8) La linea 2 della metropolitana di Torino (2 miliardi) di cui da poco è stato approvato il progetto preliminare. 9) La tratta Verona-Brescia dell'Alta velocità (1,9 miliardi), 10) L'autostrada tirrenica in Toscana (1,8 miliardi), 11) Il raddoppio della Genova-Ventimiglia (1,54 miliardi). 12) L'autostrada regionale Cispadana in Emilia Romagna (1,3 miliardi).

Tutte opere concentrate da Roma in su. Ora va ampliata la riflessione dal cosiddetto “Sblocca cantieri” ipotizzato dal Governo Conte al “Recovery Plan” che il premier e i suoi ministri dovranno presentare all'Europa entro il 15 ottobre. Non vogliamo neppure immaginare che in quel gran contenitore ci siano soltanto progetti di opere e infrastutture riguardanti le regioni e le città del Centro e del Nord, siamo certi che saranno previsti interventi anche al Sud. Ma il nodo cruciale è proprio questo: per annullare le diseguaglianze storiche che hanno disegnato un Paese a “tripla” velocità, profondamente disunito, occorre pensare a un Piano di investimenti “choc” in gran parte concentrato nei territori che scontano un gravissimo gap strutturale. E, dunque, nel momento in cui si ha a disposizione l'enorme budget del Recovery Fund, non si può fare un'operazione con il bilancino, dividendo in parti eguali la “torta”, un po' al Nord, un po' al Centro, qualcosina al Sud. Questo è forse l'ultimo treno per immaginare un processo di rilancio del Meridione, come fece la Repubblica tedesca quando si trattò di investire per unire davvero la Drr alla Germania Ovest. Dal Governo della Repubblica italiana si attende, dunque, un discorso serio, onesto, coraggioso e libero: vediamo quali sono le opere utili, quelle che possono avere un effetto “choc” per superare non solo la crisi da Covid ma le differenze e le ingiustizie di decenni, quelle che possono avviare meccanismi in grado di far ripartire l'economia dei territori. Dal Governo della Repubblica italiana si attende uno studio serio su materie come geografia e storia, che faccia comprendere cosa è davvero l'area dello Stretto, cosa è stata nel passato, cosa potrebbe ridiventare nel futuro, all'interno del più ampio scacchiere euromediterraneo.

Il timore, espresso da più parti - ma non con la forza che ci si aspetterebbe da chi rappresenta le istanze di messinesi, siciliani, calabresi, cittadini del Sud d'Italia -, è che quella del Recovery Plan si trasformi in una occasione gettata alle ortiche, con una dispersione e una frammentazione di progetti e di risorse che, forse, accontenteranno ora questa ora quella porzione del territorio, ma non serviranno alla fine a cambiare le sorti né dello Stretto né del Mezzogiorno né del Paese.

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