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Il “profondo rosso” che racconta l’anima della Sicilia

Evoluzione e prospettive del Nero d’Avola, oggi il vitigno a bacca rossa più diffuso sull’Isola

Quel “brutto anatroccolo” che serviva per le trasfusioni di vigore, necessarie a ringalluzzire vini toscani e francesi un po' emaciati, era stato catapultato - a sua insaputa - nella favola. Così una ventina di anni fa il Nero d'Avola, il vitigno che sommamente racconta anima e corpo della terra siciliana, aveva vissuto la parabola del povero-ricco, ritrovandosi fiero a innaffiare il mercato del vino in un’arrembante scalata. Così bastava portare a cena una bottiglia di “calabrese” (primo nome all'anagrafe del Nero d'Avola) per dare alle libagioni un profondo rosso che esaltava radici e storia di un riscatto.
Ma il tempo della favola è sabbia di clessidra. L'orientamento più affinato dei “selvaggi davanti al fuoco” si è aperto in un’esplorazione che in pochi anni portato alla ribalta vitigni un po' più accomodanti, scavallando le punte di asperità del Nero d'Avola, nel frattempo in overdose di quantità nei supermercati. Senza argini di evoluzione qualitativa lo straripamento ha riportato alla luce ruvidezze mai sopite. La favola ha voltato pagina, capovolgendo la clessidra.
La luce accecante si è fatta ombra. Ma non crepuscolo. E oggi la missione del Consorzio Doc Sicilia, alfiere della produzione di Nero d'Avola, è quella di ridare slancio a una bacca rossa che si estende a macchia d'olio sull'isola. Con i suoi riflessi cromatici che maturano sotto colpi di sole impietosi, è considerato il vitigno più importante della Sicilia, con più di 48 milioni di bottiglie certificate nel 2021 (erano circa 10 milioni nel 2018).

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