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Falsi incidenti con feriti, un'altra banda spaccaossa a Palermo: 41 coinvolti - Foto

Truffavano le assicurazioni, inscenando falsi incidenti stradale con feriti gravi per poi riscuotere i premi assicurativi.

È questa l'accusa nei confronti di 41 persone finite nell'inchiesta denominata "Over" dei carabinieri di Palermo. Le accuse sono: frodi assicurative, lesioni gravissime, falso, calunnia, autocalunnia, rapina e intercettazione abusiva. Nel dettaglio: nove persone sono finite in carcere, sette ai domiciliari, per altri 25 deciso l'obbligo di firma.

Le indagini - condotte dal Nucleo Investigativo del Gruppo di Monreale – hanno accertato l’esistenza di un’associazione per delinquere operante nella città di Palermo e nel suo hinterland, che si era specializzata in una serie di truffe ai danni delle assicurazioni, simulando incidenti stradali con lesioni personali.

I servizi di osservazione, le intercettazioni e gli altri strumenti di indagine hanno permesso di far venire alla luce, quasi quotidianamente, una serie continua e ininterrotta di frodi in assicurazioni e reati per lesioni personali inferte con particolare crudeltà.

E stavolta a finire nel mirino degli investigatori non sono soltanto i componenti della banda ma anche le vittime compiacenti, i falsi conducenti, i falsi testimoni e i fornitori dei mezzi utilizzati per i vari incidenti stradali.

Sin dall’inizio dell’indagine ad emergere è stata la figura di Luca Reina, titolare di una agenzia di pratiche assicurative in via Leonardo da Vinci, e di Salvatore Andrea Cintura, componente della omonima famiglia del quartiere Cep-Borgo Nuovo di Palermo.

Nella rete finiti anche organizzatori e procacciatori di vittime, testimoni e autisti di mezzi da utilizzare per gli incidenti: Alessio Cappello, Domenico Cintura, Giovanni Napoli, Antonino Buscemi, Sufiane Saghir e Giuseppe Orfeo.

"Di questi soggetti - scrivono i carabinieri - colpisce l’estremo cinismo nel privilegiare l’avvicinamento di persone in precarie condizioni economiche, in alcuni casi anche colpite da disabilità intellettive o da tossicodipendenza, al fine di riuscire più facilmente a contenere le loro successive richieste di denaro".

La prospettiva di incassare risarcimenti aveva facile presa su queste persone disperate e indigenti, che acconsentivano a subire lesioni di particolare gravità, con la promessa che il risarcimento assicurativo sarebbe stato più consistente quanto più gravi fossero state le fratture che venivano loro inflitte.

L’organizzazione criminale, che nell’ultimo biennio ha incassato circa due milioni di euro quali risarcimento danni per sinistri inesistenti, si faceva carico di seguire il ferito fino alla chiusura della pratica assicurativa, sia perché, oltre alla corresponsione di un anticipo, il mantenimento era una dei punti fermi dell’accordo, sia perché, come facilmente intuibile, dalla permanenza della vittima nella loro disponibilità dipendevano le sorti del buon esito della truffa.

Oltre all’identificazione di tutti i componenti dell’organizzazione, individuate anche le loro basi operative, locali nella loro disponibilità, ove si pianificavano i falsi sinistri stradali e dove materialmente venivano procurate le lesioni. In particolare: l’agenzia di scommesse di via Pietro Scaglione n.67, gestita da membri della famiglia Cintura; l’agenzia di infortunistica stradale “Studio Ellerre S.r.l.” di via Leonardo da Vinci, gestita da Reina; una stalla annessa ad una villa seicentesca in via Mango di Palermo, storica roccaforte della famiglia Cintura, dove sono stati registrati tre episodi nel corso dei quali venivano inferte lesioni; l’abitazione di un indagato Alessandro Bova, in via Pietro Scaglione dove è stato  registrato un altro episodio.

Le indagini hanno confermato come l’organizzazione avesse ideato un sistema altamente efficiente, al punto che alcuni componenti dell’organizzazione possono essere tranquillamente definiti “partecipanti seriali in sinistri stradali” in virtù del loro coinvolgimento negli ultimi anni in numerosi incidenti.

Tra questi spiccano Giovanni Napoli, coinvolto in 10 sinistri stradali (in 6 casi quale danneggiato ed in 4 casi in qualità di responsabile del sinistro) il quale è già indagato nei procedimenti Tantalo e Contra Fides. Davide Giammona, coinvolto in 11 sinistri stradali (in 4 casi quale danneggiato, in 6 casi in qualità di responsabile del sinistro ed in una occasione testimone del sinistro) e Salvatore Chiodo, coinvolto in ben 15 sinistri stradali (in 12 quale responsabile del sinistro ed in 3 casi quale danneggiato).

L’episodio che meglio rappresenta l’estrema spregiudicatezza e pericolosità del gruppo criminale sgominato dai carabinieri, è rappresentato dall’intercettazione abusiva condotta dagli stessi ai danni degli inquirenti.

L’organizzazione, allarmata del fatto che due degli indagati erano stati convocati in caserma per essere sentiti in merito ad un falso sinistro stradale che li aveva visti coinvolti, aveva installato nel giubbotto di uno di questi un apparato elettronico per le intercettazioni ambientali.

I militari, durante l'interrogatorio, notando un atteggiamento sospetto, si erano accorti che uno di loro nascondeva in una tasca del giubbotto l'apparecchio per le intercettazioni che stava trasmettendo in tempo reale su un cellulare in uso ad Alessio Cappello ciò che stava accadendo in tempo reale all’interno degli uffici della caserma dei carabinieri di Borgo Nuovo.

Per questi motivi a Cappello e a Letterio Maranzano è stato contestato anche il reato di intercettazione abusiva, con l’aggravante di aver commesso il fatto in danno di pubblici ufficiali nell'esercizio delle loro funzioni.

Proprio questo episodio convinceva Domenico Tantillo a collaborare con gli investigatori di Palermo e proprio dal suo racconto emerge chiara la violenza nei confronti delle vittime.

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