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"Una, nessuna, centomila Elena", grande esordio a Siracusa - Le foto

L'acqua, e il riflesso delle cose, che mutano sotto i nostri stessi occhi, come la verità. È d'acqua la scena di "Elena" di Euripide, per la regia di Davide Livermore in apertura del 55° Festival di Siracusa in un teatro greco pieno.

E comincia col riflesso, quello di Elena (Laura Marinoni) in persona, nell'acqua, mentre un'altra Elena, la stessa, ma da vecchia, racconta la sua storia, da un "dopo", nel grande schermo che sovrasta la scena, e la popola di nuvole, fumo, altre ombre. Va in scena il doppio: Elena si specchia nelle immagini di Elena, nelle parole che la raccontano ogni volta diversa, l'Elena omerica fedifraga e colpevole, l'Elena euripidea fatta d'aria per un inganno degli dei, l'Elena disperata, l'Elena scomposta e ricomposta nella scena di Livermore, fino al sorprendente finale.

L'Elena di Menelao (Sax Nicosia), naufrago che invoca il diritto di accoglienza e asilo ma gli viene risposto che "qui da noi i porti sono chiusi".

Tragedia atipica, con accenti di commedia e piuttosto dramma degli inganni a lieto fine, poco rappresentata per questa sua natura ambigua, che è proprio la cifra che, felicemente, Livermore sceglie di percorrere ed enfatizzare, in un gioco di rimandi, di luccicanze ingannevoli (a partire dalle vesti di Elena), di accenti discordanti.

D'altronde, è ambigua la condizione umana, e ciò che muove gli uomini sovente è uno spettro inconsistente, un simulacro fatto d'aria, come la guerra di Troia scatenata per un fantasma, per un'illusione in forma di donna. Si assottiglia la forma della tragedia, si alleggerisce e si fa melodramma (sulle note di Ravel, il Valses nobles et sentimentales, in una scena di colpo lieve, con calici che tintinnano come in una festa moderna, dopo l'arpa e le sonorità inquietanti e liquide che accompagnavano le immagini dei flutti sullo schermo), o dramma borghese, o persino opera, o campionatura vocale da synth (le musiche, che hanno una parte importantissima, sono di Andrea Chenna) con lo schermo che lampeggiando marca le cesure e gli scarti tra uno stile e l'altro. La veggente Teonoe (Simonetta Cartia) appare in crinoline settecentesche e parrucca incipriata, e vocalizza come sulla scena dell'opera (ma la voce diventa presto un tessuto di dissonanze), così come Teoclimeno (Giancarlo Judica Cordiglia) ha movenze e cinguettii di cicisbeo (strappa persino una risata il suo commento in falsetto alle lacrime di Elena: «Che pianto greco!»).

Il gioco di specchi - portati di continuo in scena a moltiplicare echi e riflessi - è dentro e fuori, in scena e tra le forme dello spettacolo, da Euripide in qui, al servizio dello stesso dio: quello, multiforme, della parola e dell'armonia che la governa.

Spettacolo ambizioso, diversamente multimediale, contaminato, ma con levità di tocco. A Euripide sarebbe piaciuto. Applausi convinti e prolungati al cast che "danza" nell'acqua il saluto al pubblico.

In scena anche, tutti molto efficaci e ben diretti, Mariagrazia Solano (una vecchia), Maria Chiara Centorami (messaggero), Linda Gennari (messaggero), Marcello Gravina e Vladimir Randazzo (i Dioscuri) e il coro (Bruno Di Chiara, Django Guerzoni, Giancarlo Latina, Silvio Laviano, Turi Moricca e Marouane Zotti) guidato dalla Corifea Federica Quartana. I costumi sono di Gianluca Falaschi. La traduzione del testo, molto moderna, è di Walter Lapini.

Oggi la prima de “Le Troiane” di Euripide, con la regia di Muriel Mayette-Holtz. Le due tragedie si alterneranno in scena fino al 23 giugno. Poi toccherà alla commedia "Lisistrata", con la regia di Tullio Solenghi.

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