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L’eredità culturale di Vann’Antò

Il poeta di origini ragusane fece di Messina la sua patria d’elezione e contribuì alla rinascita nel Dopoguerra. Il sodalizio mai interrotto con Pugliatti, Quasimodo e La Pira. I percorsi sperimentali e l’appassionante fase futurista con Marinetti

Messina dovrebbe ricordare sempre i propri poeti! Essi donano, assieme ai versi, nutrimento al patrimonio di civiltà e bellezza delle città in cui vivono, anche senza esserci nati. Come Vann’Antò ( Giovanni Antonio Di Giacomo) che messinese lo era d’adozione e d’elezione. Ragusano di nascita (24 agosto 1891) scelse Messina tra le sedi disponibili per la carriera di insegnante di Lettere. In città fu anche preside nella scuola media, alla quale lui stesso diede il nome, “Giuseppe Mazzini” e docente di “Letteratura delle Tradizioni popolari” a contratto, all’Università. A Messina compose la sua produzione letteraria e operò come intellettuale, animando la vita culturale di una città che voleva ricostruire il suo tessuto connettivo dopo il terremoto e dopo la seconda guerra mondiale .

Insieme con tanti amici, come Antonio Saitta e Salvatore Pugliatti, partecipò all’Accademia della Scocca, al Fondaco presso la libreria dell’ Ospe. Tra gli anni ‘40 e ‘50 , visse quella stagione di fermento culturale che produrrà eventi di alto profilo, felici scambi con grandi personalità della letteratura e dell’arte, in un clima di alto profilo intellettuale ma anche di fraterni e duraturi sodalizi («Io non credo davvero che la nostra cerchia, forte per entusiasmo e per passione scientifica, possa rompersi». Lettera di La Pira a Pugliatti). Tra questi solidali ci sono tanti siciliani cresciuti a Messina per motivi familiari, come Giorgio La Pira, di Pozzallo, venuto per studiare grazie all’appoggio dello zio messinese; Salvatore Quasimodo, modicano, trasferitosi a Messina per il lavoro del padre nella ricostruzione della locale stazione ferroviaria.

Anche Vann’Antò, si trovava a Messina per ragioni di lavoro e qui rimase per 40 anni, dal 1920 alla morte, avvenuta il 25 maggio 1960 ( ad eccezione del periodo in cui si spostò a Ragusa perché nominato Provveditore agli Studi).
Ma la sua eredità culturale fruttificò, infatti un anno dopo la sua morte nel ‘61, il rettore Pugliatti , in sinergia con il figlio del poeta, Salvatore Di Giacomo, istituì il “Premio nazionale di poesia Vannt’Antò”, con una giuria qualificata, composta nel tempo da autorevoli letterati e critici come Bo, De Benedetti, Caproni, Petrocchi, Quasimodo, Mariani, che premiò poeti prestigiosi come Luzi, Bertolucci, Bevilacqua, Cattafi.

A Messina il poeta, da sempre aperto allo sperimentalismo e alle tecniche espressive più nuove, ebbe modo di maturare il suo interesse per le avanguardie letterarie come il futurismo per la sua portata rivoluzionaria soprattutto in ambito sintattico e stilistico. Già la sua tesi di laurea all’Università di Catania verteva sul Verso libero in Francia e in Italia, rivelando i suoi interessi per la letteratura europea e in particolare per la poesia simbolista e post simbolista. Curioso, scriveva sull’amore per la scrittura: «Amo le parole disposte in fila ordinatamente come un esercito compatto.. ma amo la scrittura irregolare, anche quella di Marinetti nelle sue parole in libertà… disordinata e impetuosa come un popolo in rivoluzione… voglio servirmi di una scrittura speciale». E a Messina incontrò e intercettò lo stesso fondatore Marinetti. Vann’Antò che aveva fondato il periodico “La Balza” con Luciano Nicastro e il messinese Guglielmo Iannelli, si vide battezzata proprio da Marinetti la nuova rivista “La Balza futurista”, di cui, ricevuto il primo numero, lo stesso Marinetti scrisse: «Bravo! Bene! Magnifico! Fortissimo!». Nella Balza i suoi scritti stavano a fianco di testi di esponenti dell’avanguardia letteraria e artistica italiana come Balla, Carrà, Boccioni, Prampolini, Depero. Del valore del futurismo disse Vann’Antò in un testo per i docenti, commentato da Miligi in Vann'Antò futurista: «Da sottolineare è tutto il discorso di fondo di queste pagine che rivendicano al Futurismo una sua giusta collocazione nella storia della cultura letteraria nel nostro secolo». Ma meno si sintonizzò con il movimento in relazione all’ideologia, continua Miligi: «A Vann’Antò mancò lo slancio fideistico… mentre al contrario le fu propria una segreta misura di grazia ... Non ci fu un gesto improvviso di rottura a segnare il distacco di Vann’Antò dal futurismo: ci fu piuttosto un lento processo di maturazione, cominciato dall’impatto con la realtà sconvolgente della vita di trincea».

Il poeta era stato interventista convinto, ma l’esperienza personale della guerra lo segnò profondamente in senso umano e letterario (Breve diario in francese, “Tablettes”) . Si occupò di studi demologici ( sensibile alla lezione di Lucio Lombardo Radice) facendo vasta ricognizione intorno alle radici popolari siciliane pubblicando un Corso di esercizi e di letture siciliane per le scuole (“Li cosi nuvelli”, in collaborazione con Nicastro), fu autore di raccolte di poesie in dialetto come “Voluntas Tua”, opere in lingua italiana come “Il fante alto da terra”, oltreché traduzioni di autori francesci (in particolare di Mallarmé), commenti dell’Iliade, dell’Odissea e dell’Eneide , saggi, vari scritti in prosa come gli “Indovinelli popolari siciliani” con cui vinse il Premio Viareggio, ma ottenne anche il premio Cattolica nella cui giuria sedeva Eduardo De Filippo. Messina fu la città che considerava sua, come lui stesso accenna. «Sul nome Vann’Antò : cosi mi han chiamato sempre fin da bambino mio padre, mia madre, i miei fratelli, i compagni di gioco; è la campana vannanton! nton nton..della chiesetta dell’Addolorata a Ragusa, la chiesa della mia strada (e vennero i pagani e si chiama oggi via Roma) : non me ne importa, è in via la Farina, ..del Pane! La mia casa ormai a Messina!».

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