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Medea tra Dioniso e Ibsen. Da domani al Teatro Greco di Siracusa per l’Inda

Il disordine dentro l’ordine borghese, per un dramma potentissimo messo in scena da Federico Tiezzi, protagonista Laura Marinoni

Medea all’interno di un mondo borghese porta il disordine dionisiaco. Un dramma di Ibsen tra scene ispirate al cinema di Bergman e alla scrittura di Pasolini. Debutterà domani al teatro greco – dove stasera andrà in scena, per aprire la stagione, il «Prometeo Incatenato» con la regia di Leo Muscato – «Medea» di Euripide (nella traduzione di Massimo Fusillo) con la regia di Federico Tiezzi, protagonista Laura Marinoni.

Il regista toscano torna nell’antica cavea dopo aver diretto nel 2015 «Ifigenia in Aulide». «Questo teatro è il centro del mondo teatrale. È un'emozione diversa rispetto al 2015. La visione del teatro tragico greco è cambiata. Siamo in un momento in cui esiste una guerra, chi l'avrebbe mai immaginato, in cui il pianeta ha gravi problemi. In cui si parla di bambini morti. Improvvisamente Medea si proietta, come nella contemporaneità, in maniera più forte di quanto potesse essere per Ifigenia sette anni fa. E la cosa che mi ha impressionato: Medea uccide due figli. Solo due? Pensa ai barconi, quando vedi i corpi in mare. E allora io sono partito da questa plusvalenza di realtà. Da questa realtà che è più violenta della tragedia stessa. Questa riflessione è il cambiamento che io sento rispetto a sette anni fa in cui la situazione era grave, tremenda: se uno pensa alla Colchide, mondo naturale in cui la violenza è recepita come forza della natura, quindi come elemento che fa parte della vita degli esseri umani, io mi chiedo: di quale mondo naturale sto parlando io? Di quanti secoli fa? Perché quello che abbiamo davanti ora è drammatico, insostenibile».

Ci sono due violenze rappresentate...
«Una violenza quella di Medea che fa parte di un regno, la Colchide, che è il regno della natura o, come l’ho identificato io, il regno dell'inconscio, cioè un luogo nel quale non si ha paura né dei mostri né del sangue. Mentre quella di Giasone è una violenza che ho definito neocapitalista: pensiamo a questo nuovo matrimonio con questa donna che lui sposa non per amore, ma per ragioni di puro cinismo. Giasone è un borghese, fa parte di quella lista di borghesi ai quali ci ha abituato Ibsen o Strindberg. Ed è capace di una violenza di tipo diverso: è una violenza sociale quella che viene sperimentata su Medea, con la cacciata di Medea. Allora quando comincio a vedere Medea in questo modo comincio a capire che c'è una modernità: che tutto quello che noi pensiamo affonda all'interno della tragedia euripidea o della tragedia classica in genere. Cioè lì è iniziato tutto. Non solo il teatro, che un attore e uno spettatore si guardino negli occhi e si parlino, ma è cominciato il dramma. Il dramma delle esistenze, la messa in luce dell'annientamento dei valori. In Medea ci sono una serie di valori come la famiglia che vengono annientati e qui Euripide è grandioso. Sembra di essere in un dramma di Ibsen».

Come vedremo in scena l’inconscio?
«Gli attori di questo inconscio, vestiti di bianco, non hanno maschere tribali, ma costruiscono un totem sulla musica bellissima di Silvia Colasanti e su questo totem si muovono come una tribù. Il totem che appartiene a Medea, come si vedrà all'interno dello spettacolo, è proprio un uccello. E lei porta questo totem, e questo vestito bellissimo di Giovanna Buzzi, con una coda di piume e lo porta come se lei portasse una parte di sé dalla Colchide. All'interno di questo mondo borghese, lei porta il disordine dionisiaco di una tribù arcaica».

Lei si è ispirato a quattro grandi maestri del cinema.
«Per tutto quello che riguarda le scene tra Medea e Giasone, sono scene molto ispirate a Bergman. Nei dialoghi fra loro ho avuto in mente lui. Quest'idea della Colchide come luogo tribale è molto ispirata a Pasolini, uno dei padri della mia vita intellettuale. E poi ho letto la sceneggiatura di Dreyer su Medea, ho visto il film bellissimo di Lars Von Trier. C'è solo un'immagine del sole. Tutto il resto è ispirato al cinema e al montaggio cinematografico, la successione delle scene, l’arrivo degli attori. È divertente, è uno spettacolo molto divertente. Spero che piaccia».

Un’altra contraddizione: non sempre il pedagogo deve essere un anziano...
«Il cast che l’Inda mi ha permesso di mettere su è un cast di attori molto bravi e fra questi c'è anche un giovane Riccardo Livermore: quando ho visto “Medea” di Pasolini la cosa che mi colpiva è che il pedagogo fosse un ragazzo poco più grande di loro. Mi è sembrata un'idea talmente poetica che mi è venuta fuori l'idea di avere il giovane Livermore. È un'ispirazione assolutamente pasoliniana perché il pedagogo viene normalmente pensato come un vecchio. E invece Pasolini ci fa capire che forse non è così: c'è un giovane che insegna ai giovani».

Il cast

«Medea» di Euripide, con la regia di Federico Tiezzi, sarà in scena fino al 24 giugno. Il ruolo di Medea è affidato a Laura Marinoni. Nel cast Debora Zuin (Nutrice), Riccardo Livermore (Pedagogo), Roberto Latini (Creonte), Alessandro Averone (Giasone), Luigi Tabita (Egeo), Sandra Toffolatti (Il Nunzio); Francesca Ciocchetti e Simonetta Cartia (Capo coro). Nel coro Alessandra Gigli, Dario Guidi, Anna Charlotte Barbera, Valentina Corrao, Valentina Elia, Caterina Fontana, Francesca Gabucci, Irene Mori, Aurora Miriam Scala, Maddalena Serratore, Giulia Valentini e Claudia Zappia. I figli di Medea saranno Matteo Paguni e Francesco Cutale. Scene di Marco Rossi, costumi di Giovanna Buzzi, maestra del coro Francesca Della Monica. Musiche originali del coro e del prologo di Silvia Colasanti con la collaborazione del Coro di voci bianche del Teatro dell’Opera di Roma.

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