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L’eredità professionale e culturale di Falcone: un tesoro da affidare ai giovani

Tg2 Italia ha approfondito il profilo del magistrato e il valore della sua memoria

«La nota personalità». Nelle fasi concitate subito dopo l'attentato, nelle registrazioni audio delle conversazioni a strappi tra le sale operative delle  forze dell'ordine, non si pronuncia mai il nome di Falcone. Eppure che fosse stato lui il bersaglio di quell'azione di guerra lo si intuiva da altri indizi che scorrevano nei telegrammi vocali tra  i poliziotti al telefono, in una triangolazione drammatica tra gli inviati sul luogo dell'attentato, i colleghi all'ospedale dove erano stati  trasportati Falcone e la moglie, e la regia che coordinava i soccorsi, centralizzando le informazioni. Eppure, dalla ricostruzione dello speciale Tg2 Italia, in onda stamattina, affiora che l'identità della «nota personalità» era facilmente desumibile da altri indizi, come il cognome rivelato della moglie, «Morvillo», o il riferimento al «magistrato». Forse, inconsciamente, in quell'assenza di Falcone dai dialoghi  c'era la memoria viva di una morte che già, nel riserbo pudico e addolorato di quelle conversazioni  stordite dall'attentato, sarebbe diventata simbolo, valore collettivo, rinascita, consapevolezza civile. Così a 30 anni dalla strage di Capaci quella «nota personalità deceduta» è pienamente Giovanni Falcone, come ha raccontato il Tg2 Italia, rileggendo l'impegno antimafia del magistrato attraverso testimonianze e documenti inediti. Oggi più di ieri, quando i giochi sporchi che isolarono Falcone all'interno della Magistratura erano ancora sussurri e vuoti di memoria, quando la «convergenza di interessi», evocata dalla sorella Maria, era uno sfondo opaco che richiamava non meglio identificate «entità esterne».

Nello studio del Tg2 ospiti il direttore del Messaggero, Massimo Martinelli, il direttore di Askanews, Gianni Todini e collegato da Messina il direttore editoriale di Gazzetta del Sud-Giornale di Sicilia, Lino Morgante.
Era stato lo stesso Giovanni Falcone, in un’intervista del marzo 1989, a rileggere in una chiave strategica gli omicidi dei funzionari di Polizia Beppe Montana, Ninni Cassarà e del colonnello Giuseppe Russo: «La mafia non ha mai sbagliato un colpo, questi delitti hanno creato danni enormi all’apparato investigativo. E proprio in momenti delicati delle inchieste. Bisogna chiedersi come facessero ad avere informazioni di prima mano». La lettura del magistrato, riproposta da Tg2 Italia grazie al contributo di Askanews, evocava quelle complicità che si annidavano nei nuclei deviati dello Stato e della «politica contaminata». E che ancora oggi aleggiano nei processi e nelle indagini, con l’obiettivo di scavare nei retroscena inconfessabili delle stragi di Capaci e Via d’Amelio.
«Quel 23 maggio del 1992 ha segnato una svolta nella storia d’Italia», ha sottolineato il direttore editoriale di Gazzetta del Sud e Giornale di Sicilia, Lino Morgante, i due quotidiani che hanno proposto uno speciale di 16 pagine dedicato alla strage. «I due attentati hanno risvegliato le coscienze, facendo maturare la consapevolezza della partecipazione come premessa per contrastare la mafia. La società civile non si può tirare indietro. Non dimentichiamo che erano già stati uccisi magistrati, poliziotti, giornalisti. Ma la strage di Capaci ha rappresentato uno spartiacque». Soprattutto sul fronte delle inchieste, perché le intuizioni di Giovanni Falcone erano diventate patrimonio investigativo.   «Aveva capito che solo seguendo i percorsi carsici dei flussi di denaro si potevano stanare gli affari delle mafie, le complicità e le protezioni», ha aggiunto Lino Morgante.  «Non a caso il primo attentato, quello dell’Addaura – ha ricordato Gianni Todini – si collocava nella fase in cui Falcone creava la sua rete internazionale per intercettare i profitti illeciti, attraverso la collaborazione gli inquirenti  svizzeri». Così oggi quell’esperienza unica, «per la quale  fu sottoposto a un processo di delegittimazione da parte dei suoi colleghi», ha osservato Massimo Martinelli, è una pietra miliare della lotta alla mafia. «Ma anche un’eredità culturale che dobbiamo condividere con i giovani – ha sottolineato Morgante –. Per noi è una testimonianza etica che ogni settimana rinnoviamo attraverso un inserto dedicato proprio ai giovani e alle scuole». Perché, diceva Gesualdo Bufalino, «la mafia sarà vinta da un esercito di maestre elementari».

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