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Un video smentisce Andrea Bonafede, il "postino" del boss Messina Denaro IL VIDEO

Un filmato ripreso dalle videocamere del Comune di Campobello di Mazara, il paese in cui si è nascosto, negli ultimi due anni, Matteo Messina Denaro, smentisce Andrea Bonafede, cugino e omonimo del geometra che ha "prestato" l’identità al boss, da qualche settimana in carcere per favoreggiamento e procurata inosservanza di pena. I pm Gianluca de Leo e Piero Padova lo hanno depositato al tribunale del Riesame, al quale Bonafede aveva fatto ricorso contro l’ordinanza di custodia cautelare. Nel video si vede il capomafia di Castelvetrano vestito di blu entrare nella sua Giulietta. Bonafede, impiegato del Municipio, arriva in senso opposto a bordo dell’auto usata dai messi del Comune e abitualmente a lui assegnata. Il veicolo incrocia quello del capomafia e arresta la marcia. Le due macchine sono l’una a fianco all’altra e il boss e l’impiegato si scambiano qualche battuta.

E’ la prova che Bonafede, che ha sempre negato di conoscere il padrino di Castelvetrano, mente. I pm lo accusato di aver fatto per mesi la spola tra lo studio del medico Alfonso Tumbarello, anche lui in carcere, per prendere le ricette che il dottore compilava e intestava al cugino e omonimo del dipendente comunale, alias del boss. Entrambi, sia Bonafede che il medico, secondo la procura, sapevano benissimo chi fosse il vero paziente, a chi cioè fossero destinate le oltre 100 tra prescrizioni di farmaci ed esami firmate da Tumbarello.

Bonafede si è finora difeso sostenendo di non conoscere Messina Denaro e di aver creduto che la documentazione presa dal dottore e consegnata al cugino fosse destinata realmente al geometra. Sulla stessa linea il medico che, pur ammettendo di non averlo mai visitato, ha raccontato di aver prescritto le ricette e gli esami certo che il malato fosse Bonafede. Tesi alle quali evidentemente non ha creduto il tribunale del Riesame che ha confermato il carcere per entrambi.

Secondo la Procura, Tumbarello avrebbe assicurato a Messina Denaro l’accesso alle cure del Servizio Sanitario Nazionale attraverso un percorso terapeutico durato oltre due anni, con più di un centinaio di prescrizioni sanitarie e di analisi (o richieste di ricovero) intestate falsamente a Bonafede, mentre in realtà a beneficiarne era il capomafia, assistito personalmente e curato dal dottore. Così sono state garantite al padrino non solo le prestazioni necessarie per le gravi patologie di cui soffriva il boss, ma anche la riservatezza sulla sua reale identità.

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