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Oggi il centenario della nascita di Sciascia: un militante della memoria

Dobbiamo rileggerlo, comprenderne la stringente attualità. Lo dicono anche, in un'intervista "a specchio", la figlia Annamaria e il nipote Fabrizio Catalano

E ce ne ricorderemo, di Leonardo Sciascia, dell’uomo e dell’intellettuale, la cui coscienza vigile e provvida ha sempre illuminato il suo cammino di scrittore. E dobbiamo ricordarcene, di questo maestro, di questo testimone della parola onesta e innamorata, e non solo nella giornata commemorativa del centenario della sua nascita, avvenuta a Racalmuto l’8 gennaio del 1921. Sapeva bene Sciascia, come scriveva nel “Consiglio d’Egitto”, che «la menzogna è più forte della verità. Più forte della vita. Sta alle radici dell’essere, frondeggia al di là della vita» e dunque, nella sua costruzione narrativa come nella quotidianità famigliare e amicale, non cessò mai di combattere la mistificazione e la menzogna, e di praticare l’intelligenza critica, anche quando il confronto, talora polemico, con la realtà era drammatico e risultava scomodo.

Una virtù morale, l’ethiké aristotelica, che, come dice il termine deriva dall’ethos, dall’abitudine, quella dell’uomo e dell’intellettuale, insieme all’attitudine di coltivare il dubbio come metodo per leggere il mondo, per liberarci dalle panie dell’omologazione (in questo compagno di Pasolini), per costruire, per non dimenticare. Abbiamo bisogno di ricordarcene, di Sciascia, di rileggere le sue opere in questa attuale, pericolosa deriva d’odio, d’intolleranza, di pregiudizi, d’ignoranza che attira proseliti sempre più numerosi.
Leggerlo e conoscere la sua vita (Paolo Squillacioti ha curato per Adelphi la riedizione delle opere complete di Sciascia, ma sono in arrivo libri molto interessanti, come “In Sicilia con Sciascia”, firmato da Antonio Di Grado, direttore letterario della Fondazione Leonardo Sciascia, e Barbara Distefano per Giulio Perrone editore, in uscita il 14), anche attraverso le tante, bellissime fotografie che raccontano il suo romanzo famigliare, con la moglie, le figlie e i nipoti amatissimi, gli affetti, l’amore per i libri e la campagna, gli amici, i suoi silenzi di fronte alle meschinità e la severità di fronte alla bugia in qualunque forma si presentasse.

La figlia Annamaria ama ricordare quando da giovane, l’allora fidanzato e poi marito Nino Catalano (autore, tra gli altri famosi, di tanti scatti fotografici) quando si recava a casa Sciascia, sia nell’otium della casa di campagna della Noce o nella dimensione cittadina palermitana, s’incantasse ad ascoltare il suocero, facendo tesoro delle sue parole.

Ecco, dovremmo continuare ad “ascoltarlo”, Sciascia, il suo invito alla responsabilità e all’esercizio della memoria, fare nostra la lezione del suo Candido attraverso il quale – diceva – «ho voluto inventare una formula di felicità che consisterebbe nel coltivare la propria testa, anziché le proprie idee». Di Leonardo Sciascia, padre e nonno amoroso e tenerissimo, abbiamo parlato con la figlia Annamaria e il nipote Fabrizio Catalano, che firma, con Alfonso Amendola ed Ercole Giap Parini “Il tenace concetto. Leonardo Sciascia: la letteratura, la conoscenza, l’impegno civile”(Rogas Edizioni, gennaio 2021), centrato sulla lezione etica di Sciascia alla luce dell’attualità.

Cosa ha significato mentre era vivo, cosa ha significato dopo la sua morte essere figlia e nipote di Leonardo Sciascia?
Annamaria: «È stata sempre una grande emozione, diversa e gioiosa mentre era in vita, vissuta con dolore da quando non è più accanto a me fisicamente».
Fabrizio: «Ho vissuto questo mio essere nipote, da bambino, come un fatto assolutamente normale; da adolescente, subito dopo la morte di mio nonno, mi sono sentito inconsciamente investito di una sorta di responsabilità, cosa che mi ha portato a maturare parecchio e all’improvviso; nell'età adulta, e nell’acquisizione –almeno spero– di una sempre maggiore consapevolezza, come un privilegio».
Essere eredi, nel senso più autentico del termine, di un tale padre e di un tale nonno, impone anche una responsabilità etica, un programma di vita.
Annamaria: «Sicuramente nelle scelte della mia vita l’essere sua figlia ha influito: ho fatto parte del personale non docente dell’Università e, invece, tanto mi sarebbe piaciuto occuparmi di letteratura italiana, ma ho avuto sempre paura di non essere all’altezza, del suo giudizio e di quello dei suoi amici».
Fabrizio: «Impone una vita sobria, sincera, ragionevole. Impone di coltivare idee e passioni, di mescolare onestà ed eversione».
La quotidianità con papà e nonno, come si vede dai tanti scatti fotografici. Qual è, tra i tanti, il ricordo più vivo di lui?
Annamaria: «Dopo il diploma ho scelto di fare il concorso magistrale a Varese e mio padre mi ha accompagnato. Per la prima​ volta eravamo insieme senza mia madre e mia sorella: è stata una esperienza indimenticabile».
Fabrizio: «Dell’infanzia, tantissimi, anche minimi: odori, suoni, sapori. Ma mi piace ricordare quella mattina, qualche settimana prima che mio nonno morisse, in cui gli comunicai che da grande volevo fare il regista e lui mi cercò i suoi vecchi libri sul cinema».
La campagna e la biblioteca, la contrada Noce e i libri. Un ideale antico, ciceroniano. Come lo viveva papà e nonno Leonardo e come lo avete vissuto voi?
Annamaria: «Mio padre amava passare tanto tempo nella casa della Noce anche se poi per lunghi periodi andava in giro per l’Europa. La mattina fino alle 11 scriveva e il resto del giorno leggeva, cucinava o andava in giro per la campagna raccogliendo capperi in estate, asparagi in primavera, borragine in inverno. Anche a me piace la vita semplice ma in modo diverso e per poco tempo».
Fabrizio: «L’ho vissuto con una gioia che era forse anche riflesso della sua, da piccolo; lo vivo oggi con una certa angoscia, perché non riesco a fingere che quella campagna sia la stessa di un tempo...».
Lei, Annamaria, ha scritto “Pirandello e il gioco dei padri”. Un atto dovuto per papà? Un modo da figlia di confrontarsi con un padre di grandissima statura? E cosa è, Fabrizio, il “tenace concetto” del volume appena pubblicato, sulla letteratura, la conoscenza, l’impegno civile di Sciascia, di cui è co-autore?
Annamaria: «Nel 1997 per una serie di coincidenze e per una piccola autonomia di ricerca conquistata mi è stata data la possibilità di occuparmi di letteratura italiana e con grande emozione, e apprensione, sono tornata alla passione dell’adolescenza per Pirandello. Concluse le prime pagine, le feci leggere a Donatella​ Barbieri, agente letterario di mio padre, che subito mi incoraggiò e le inviò a “Tuttolibri”. Quando terminai il lavoro è stato Massimo Onofri a farlo pubblicare prima su “Nuovi argomenti” e poi per Avagliano. Mentre scrivevo, sentivo la presenza e la guida e di mio padre. Nessun atto dovuto e meno che mai un confronto; soltanto un “papà, ce l’ho fatta”».
Fabrizio: «È, oggi più che mai, in un mondo preda dell’omologazione, la volontà di lottare irrinunciabilmente per un’idea, per un ideale, per un’aspirazione».
Come custodire oggi la memoria di Sciascia, curando che sia fertile e vitale?
Annamaria: «Ci sono i suoi libri e le sue parole a renderlo immortale».
Fabrizio: «Non dimenticando. Coltivando il pensiero critico. Ponendosi sempre delle domande. Sconfiggendo la magia nera che ormai governa questo continente triste e decaduto».

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