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Masini in Sicilia, l'intervista: "È la fase dell’attesa e della memoria: riprendiamoci spazi e sguardi"

È come uno smart working. «Noi artisti tentiamo di venir fuori da un momento difficile cercando di dare un'espressione diversa al nostro lavoro, di far sì che le nostre emozioni arrivino comunque, magari in maniera più minimalista, magari rispettando i decreti che altri non rispettano. Come tutti, cerchiamo di dare senso». Così Marco Masini riparte, piano e voce, Sotto il Vulcano. Le suggestioni già sono nel titolo del concerto in programma in Sicilia, il 16 agosto a Zafferana Etnea per la rassegna itinerante organizzata da Sopra la Panca (con la direzione artistica di Nuccio La Ferlita).

«Una forma più intima in cambio della stessa emozione: questo è l'obiettivo e sono convinto che, in un'atmosfera come quella dell'Anfiteatro Falcone e Borsellino, ci si possa riuscire». Un disco dell’unione (Masini+1, 15 duetti con altrettanti amici), uscito al tempo del distanziamento e il tour (quello del 30th Anniversary) che «abbiamo fatto in modo di non annullare per salvare l’impegno degli organizzatori, gli artisti e tutti quelli che ci lavorano intorno. Ma tutto ha un dritto e un rovescio: spero che i fan riescano, sapendolo con un anno d’anticipo, a tenersi liberi». Tra il ragazzo "disperato" dell’esordio e l’uomo con la barba lunga di oggi c’è stato un onesto “confronto”. «Sanremo serve, ti proietta in altre dimensioni. Dai giovani si impara, i giovani hanno una marcia in più. Hanno l’incoscienza, il coraggio, pensano poco e agiscono molto e questo fa lezione. Quando si comincia a crescere e poi a invecchiare si diventa più riflessivi, si indugia nelle azioni, ci si guarda allo specchio, si vede il “pericolo”. I giovani no. Anche nel modo di scrivere loro vanno mentre noi rimuginiamo. Imparare serve, condividere serve. Se poi riesci anche a dare consigli da vecchio volpone saggio… ecco che magari puoi aver contribuito in maniera indiretta alla carriera di qualcuno».

Carriera della quale non si smette mai di render conto.

«È dal 1990 che mi tirano in ballo, ormai ho imparato a ballare! Tanto le cose che oggi censurano le capiranno domani. È successo con me, con “Vaffanculo”, con “Bella Stronza”, è successo a tanti altri. Revisioni a parte, è il pubblico a dimostrare il gradimento di un artista. Personalmente spero in questa generazione, che trovi il modo di regalare qualcosa alla musica del futuro. Credo nel nuovo cantautorato, coi suoi cambiamenti, le trasformazioni».

La responsabilità delle parole?

«Ognuno sente la propria e quella scrive. Sta all’uomo e non al cantautore sentire un certo tipo di responsabilità o non sentirla. All’uomo che c’è dentro al cantautore».

«E adesso vorrei sapere come sarebbe il mondo se tutto quanto fosse spostato di un secondo»…

«Ci siamo spostati molto di più! Indietro, all'età della pietra sotto tutti i punti di vista: politici, economici, sociali, musicali, affettivi, sanitari. A nudo, con le nostre debolezze, le insicurezze, le paure, la precarietà, le infelicità. In ginocchio rispetto anche a quella poca fiducia che gli italiani avevano nel proprio percorso. A scontare la cattiva gestione degli anni passati, di un Paese che ha perso credibilità».

Questa che fase è?

«Dell'attesa e della memoria. Io sono realista, lo sono sempre stato. Dal punto di vista sanitario non so cosa succederà, so cosa è successo. So dei morti, dei parenti di chi è passato direttamente dalla casa alla cassa, solo. Un periodo che, se non fosse accaduto, sarebbe stato molto, molto meglio. Adesso sto come all’inizio del lockdown, quando a chi era innamorato ma non ufficialmente congiunto non veniva concesso di vedere l’amato. Abbiamo dimostrato straordinaria attitudine a cambiare in corsa, siamo stati fortunati ad incontrarci anche a distanza. Ora è tempo di riprenderci, gli spazi e gli sguardi».

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