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Suicidi in carcere, il caso del catanese Simone Melardi. Soggetto fragile e abbandonato

Ad oggi, 2 settembre, 59 suicidi in carcere. L'ultimo a Bologna, nella tarda serata di ieri. L'Associazione Antigone si occupa da più di trent'anni dei diritti e delle garanzie nel sistema penale e penitenziario. E fa discutere, in queste ore, un video diffuso su "TikTok" che racconta chi era Simone Melardi, catanese di 44 anni che si è tolto la vita dietro le sbarre, a Caltagirone, impiccandosi. A parlare, con la sua lettera, è Antonella Riccobone: "Lui - ha detto - non era un ladro, era solo una persona che che meritava abbracci e sorrisi, accoglienza e cure. Sono lieta che questa storia giri, Simone è una vittima della nostra giustizia e nessuno deve mai più decidere di finire la sua vita nel buio della notte, tra angosce e disperazione". La Riccobono è un'insegnante del Cirpe e si occupa di formazione professionale nel territorio e ragazzini minori in obbligo formativo.

"Conoscevo Simone Melardi, il signore di Catania che si è tolto la vita in carcere - ha scritto Antonella, nella lettera letta da Carolina Antonucci dell'Associazione Antigone - Simone era un soggetto fragile, con vari disturbi mentali. Aveva lo sguardo perso nel vuoto, il viso sofferente e spesso non riusciva a comunicare nel modo adeguato, ripetendo monologhi, o frasi senza senso. Talvolta appariva smarrito, perché in stato confusionale. La sua igiene personale era praticamente inesistente e sembrava molto più grande dei suoi 44 anni. Talvolta veniva picchiato, per divertimento, dai bulli del quartiere e si presentava in giro con una maschera di sangue. Per vivere, chiedeva l’elemosina. E più volte, l’ho visto rovistare tra i rifiuti. La strada era la sua casa. Nel mese di giugno, poi, venni a conoscenza di un video, che ancora oggi circola su “TikTok”. In questo video, si vedeva lo stesso Simone che dormiva in pigiama, all’interno di un cassonetto dell’immondizia. Nella scuola in cui ho insegnato, nel cuore di San Cristoforo, in tanti abbiamo segnalato la sua situazione. Io stessa, il 23 giugno, mi sono recata prima al commissariato di San Cristoforo, che all’epoca non riceveva al pubblico, successivamente alla questura di Via Manzoni. In questura c’era tantissima gente. E non mi hanno fatto salire. Ma ho mostrato agli agenti che c’erano sotto il video in cui si vedeva Simone che dormiva a sonno pieno, all’interno di un cassonetto. Gli ho detto che il soggetto, che talvolta faceva uso di alcol, avrebbe anche potuto non svegliarsi durante la raccolta dei rifiuti, rischiando di essere schiacciato dal compattatore. Mi è stato detto, però, che loro non potevano intervenire. Anche perché nel video non si configurava alcun reato. Così, ho cercato di dare voce a vari amici e diverse associazioni, ma la situazione, purtroppo, è rimasta immutata. Qualche giorno fa, apprendo la triste notizia. E per me, è quasi una morte annunciata. E adesso mi domando: come mai il soggetto in questione è stato condotto in carcere e non in una comunità di recupero? Viste le sue condizioni psico-fisiche. Inoltre, come ha fatto a progettare e poi eseguire un suicidio senza che nessuno lo vedesse e tentasse di salvarlo? Questa storia, purtroppo, racconta che nella nostra società gli ultimi non vengono mai tutelati. Nel nostro ordinamento penale, per espressa previsione costituzionale, la pena deve tendere alla rieducazione del reo. E invece, purtroppo, Simone in quel carcere ha perso la vita. Oggi sono stata a San Cristoforo e quasi lo vedevo curvo su sé stesso girare per il quartiere come un’anima in pena. Non sono riuscito a salvarlo e non smetto di starci male. Oggi, con tutta me stessa, vi chiedo di non girarvi mai dall’altra parte, perché anche se la nostra società ha fallito, noi dobbiamo restare umani. E dobbiamo continuare a credere che se tutti noi facciamo la nostra parte e ci aiutiamo nei momenti di difficoltà, possiamo davvero rendere questo Mondo un posto migliore. Perdonami Simone, uomo buono e dal cuore puro. Non sono stata alla tua altezza. Buon viaggio".

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