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I mille volti di Messina Denaro, sono cinque le carte di identità trovate nel covo

Il boss Matteo Messina Denaro negli anni avrebbe utilizzato le generalità di diversi fiancheggiatori. Lo sospettano gli inquirenti che, nel covo di vicolo San Vito, a Campobello di Mazara, tra le carte del capomafia hanno trovato documenti di identità contraffatti coi nomi e i dati di persone realmente esistenti. Precisamente sono cinque le carte di identità contraffatte trovate nel covo di vicolo San Vito, a Campobello di Mazara, in cui ha trascorso l’ultimo periodo della latitanza il boss Matteo Messina Denaro. I documenti, tutti con la foto tessera del capomafia, sono intestati ad altrettante persone in vita e incensurate, alias che hanno prestato la loro identità al padrino di Castelvetrano per un periodo lunghissimo: circa 15 anni. A consentire al boss di restare libero sfruttando le generalità altrui, dunque, non è stato solo Andrea Bonafede, il geometra che ha messo a disposizione di Messina Denaro i suoi documenti consentendogli di usarli nelle strutture sanitarie in cui è stato operato e si è curato. Gli investigatori stanno tentando di accertare se gli altri alias fossero a conoscenza della contraffazione.

Prima di assumere l’identità del geometra Bonafede, utilizzata a partire almeno dal 2020, quando venne operato di cancro all’ospedale di Mazara del Vallo e utilizzò il codice fiscale e la carta di identità del suo fiancheggiatore, il boss avrebbe fatto uso dei documenti di altre persone. E con le generalità di altri favoreggiatori avrebbe viaggiato e concluso affari. Piste che gli inquirenti, che stanno tentando di andare a ritroso per ricostruite la latitanza del capomafia, ora approfondiranno.
Per la prima volta dall’arresto, intanto, i carabinieri del Ros hanno diffuso le immagini del covo di vicolo san Vito, a Campobello di Mazara nel quale il padrino trapanese ha trascorso gli ultimi mesi da uomo libero. Una casa ordinata, i quadri alla parete, due leoncini di peluche, uno su un termosifone, l’altro sull'appendi panni, un divano marrone con due cuscini ben sistemati, una stanza adibita a palestra: l’appartamento di Matteo Messina Denaro poteva essere l’abitazione di un uomo qualunque. Nel salotto una tv, i libri disposti su una mensola, i quadri alle pareti con riproduzioni di dipinti famosi, come i Girasoli di Van Gogh e le foto dei protagonisti del film il Padrino e di Joker. Il capomafia aveva anche adibito a palestra un piccolo ambiente in cui teneva una panca e dei pesi. Nella stessa stanza c'erano l’asse da stiro, decine di scarpe costose sistemate in una scarpiera. Un appartamento come tanti dunque,
quello acquistato dal geometra Bonafede per il capomafia.
E l’arresto di Matteo Messina Denaro è entrato anche nella relazione di inaugurazione dell’anno giudiziario. «Assesta un colpo decisivo alla componente stragista della mafia e apre scenari inesplorati», ha detto riferendosi alla cattura del padrino il presidente della Corte d’appello di Palermo, Matteo Frasca. Come è già accaduto con altre figure del vertice mafioso, la fine della latitanza del boss costituisce senza dubbio, secondo Frasca, «un momento di grande importanza sia perché probabilmente completa la lunga e difficile operazione di smantellamento della componente stragista dell’organizzazione, sia perché apre prospettive investigative potenzialmente straordinarie che l’azione corale delle istituzioni potrà valorizzare in direzione di ambiti diversi da quelli strettamente connessi con il latitante».

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