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Camilleri, il cantastorie cieco che vede oltre e fa parlare Caino

"Nel narratore c'è anche un elemento di oralità implicito nella scrittura, che è anche nella mia scrittura. Invece, in uno scrittore non è detto che ci sia questo elemento di oralità, che sia presente necessariamente". Così diceva Camilleri di sé, ritenendosi in fondo un “contastorie”, che, quando viene meno l'uso degli occhi li apre ancora di più, facendo emergere dalle tenebre della vista perduta la luce della memoria.

L'arte di non vedere è l'arte di adattarsi, e, allora, diceva il maestro, bisogna mantenere viva la memoria dei sogni, dalla quale fluisce quella disposizione oracolare di Camilleri che chissà quante verità avrebbe potuto ancora rivelarci, quanti “vaticini alla cieca” (per usare le parole che Dürrenmatt fa dire alla sua svampita Pizia) avrebbe potuto pronunciare. È nella cecità che arriva dritta nel buio la parola che acquista un peso, che richiama a vita narrativa figure della memoria, per far luce sul buio dell'oblio e della barbarie.

Così sono nati “Conversazione su Tiresia”, un monologo con la voce del maestro-contastorie messo in scena per la prima volta al Teatro Greco di Siracusa, l'11 giugno 2018, e “Autodifesa di Caino”, che sarebbe dovuto andare in scena il 15 luglio scorso alle Terme di Caracalla, luoghi di pietre antiche che per uno scrittore il cui universo non sempre e non tutto è contemporaneo, evocano voci e storie universali e fanno parlare i morti (compresi quelli letterari) con i vivi. Anche i miti parlano tra loro, come ha detto Levy Strauss, perciò dalla voce del medium-Camilleri viene pronunciato questo monologo, il primo libro pubblicato, dopo la sua morte, da Sellerio, in collaborazione con la nipote del maestro, Arianna Mortelliti, che aveva aiutato il nonno nella rifinitura del testo in vista della messa in scena.

Un prezioso libretto in cui riecheggiano voci colte, dalla Bibbia a Coleridge, da Belli e Fo a Borges e a Wiesel, anche se il “riso filosofico” del maestro ci mette qui e là il suo dissacratorio “carico da undici”. Tutto ciò che riguarda l'uomo è complicato, spesso l'ingiustizia incattivisce, il bene ottunde, e la solitudine, l'emarginazione fanno perdere la cognizione del bene e del male; nell'interrogarsi del nostro progenitore Caino sul male c'è pure un chiedersi smarrito il senso del bene, anch'esso talora banale quanto il male, nelle sue ambigue declinazioni. Una condizione comune agli umani. Perciò Caino, che precipitato nel male sconta la pena di vivere, in conclusione del monologo esorta il pubblico a riflettere secondo coscienza ("non esiste la predestinazione - dice -, Dio ha ragione, possiamo scegliere"), ricordando di essere diventato "un simbolo necessario, perché senza il male il bene non esisterebbe". Del resto, «Dio l'aveva pensato prima di tutti noi, com'era logico".

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